Attraverso la leva fiscale si favorisce l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita e si rafforza il legame tra produttività e salario: gli incrementi corrisposti dal 1° gennaio 2026 in attuazione di rinnovi dei contratti nazionali sono assoggettati ad un’aliquota Irpef del 10%. Inoltre, l’importo dei premi di produttività oggetto della cedolare secca del 5% salgono dagli attuali 3mila a 4-5 mila euro. Sono due interventi del pacchetto di misure sul lavoro al quale sono destinati circa 2 miliardi dalla legge di Bilancio. Il piatto forte delle norme presentate dal ministro del Lavoro, Marina Calderone, prevede per i dipendenti del privato l’applicazione dell’aliquota Irpef ridotta del 10% agli incrementi retributivi corrisposti in attuazione dei rinnovi contrattuali, a decorrere dal 1° gennaio 2026 e fino al 31 dicembre 2028.

L’aliquota agevolata deve essere applicata a tutte le decorrenze previste per l’intero periodo di vigenza del contratto rinnovato solo alle somme effettivamente erogate dal 2026 in avanti. I tecnici del governo stanno valutando se applicare l’incentivo fiscale anche ai rinnovi dei contratti firmati nel 2025. Si ragiona anche sull’eventuale tetto per beneficiare dello sconto fiscale. Per la misura, secondo una prima e approssimativa valutazione, è stimato nel 2027 un minor gettito intorno a 1,4–1,5 miliardi, che a regime nel 2028 salirà a 1,8 miliardi. Tuttavia, i maggiori redditi netti per i lavoratori beneficiari avranno un impatto sui consumi e, considerando un’aliquota Iva media effettiva intorno al 10% sui consumi delle famiglie, il maggior gettito Iva potrebbe aggirarsi sui 200 milioni annui a regime.

Un’altra norma presentata dal ministero del Lavoro prevede che, in caso di mancato rinnovo dei contratti collettivi entro 24 mesi successivi alla naturale scadenza e fino al rinnovo contrattuale, le retribuzioni sono adeguate alla variazione dell’Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato) entro il tetto massimo del 5% annuo, a decorrere dal 1° gennaio 2026.

In pratica i datori di lavoro dovranno corrispondere aumenti fino al 5% annuo ai propri dipendenti, sui quali saranno dovute le normali imposte e contributi (in assenza dell’aliquota agevolata, poiché l’agevolazione spetta solo agli aumenti da rinnovo contrattuale formalmente sottoscritto). Anche nello scenario di mancato rinnovo, vi sarebbe comunque un aumento delle entrate tributarie rispetto a una situazione di congelamento totale dei salari: i lavoratori percepirebbero un adeguamento parziale tassato con le aliquote ordinarie Irpef e contributi sociali.

A fine giugno 2025 secondo l’Istat i contratti in attesa di rinnovo erano 31 e coinvolgevano circa 5,7 milioni di dipendenti, di cui 1,7 milioni circa nel pubblico. Ma tra i 4 milioni di dipendenti con contratti scaduti nel privato, solo i Ccnl scaduti da 24 mesi sarebbero interessati dalla misura (al momento si va dai 200mila lavoratori delle Tlc, ai 250mila della sanità privata ai 10mila giornalisti del privato, per citarne alcuni).

Sui premi di risultato si punta ad aumentare da 3mila a 4mila euro l’ammontare del premio oggetto della cedolare secca al 5%; la novità è che si sta ragionando se arrivare a 5mila euro. A questo proposito vale la pena di ricordare che al 15 settembre 4.748.914 lavoratori hanno beneficiato del premio di risultato per contratti di produttività ancora attivi, con un valore annuo medio pari a 1.600 euro. Mentre sembra avere meno chances l’innalzamento del tetto di reddito da 80mila a 100mila euro per beneficiare della detassazione del premio di risultato che verrebbe portata per questa fascia al 10%.

Sui fringe benefit resta da vedere se passerà la proposta del ministro del Lavoro di raddoppiare l’attuale tetto esentasse di mille e 2mila euro, a lavoratori senza o con figli, rispettivamente a 2mila e 4mila euro.

Giorgio Pogliotti

(Estratto da “Norme e tributi Plus Lavoro”, Il Sole 24 Ore, 16 ottobre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)

© Riproduzione riservata