Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha annunciato, quale misura imminente, il cosiddetto “salva-case”, consistente, né più né meno, in un insieme di norme finalizzate, nel loro complesso, a mettere in regola quegli immobili che presentino talune "piccole difformità" al loro interno, rendendoli così, e per così dire, commerciabili.

Stando alle parole dello stesso vice-premier, si starebbe lavorando, in buona sostanza, per una proposta di legge di pace edilizia che andrebbe ad interessare circa l’ottanta per cento del patrimonio immobiliare italiano. Al di là delle contestazioni di carattere politico sul “se” possa trattarsi di condono edilizio oppure di puro e semplice progetto di riordino normativo necessitato dalle incertezze interpretative della disciplina attualmente in vigore, sarebbe, piuttosto, maggiormente utile comprendere se questo inedito progetto, nella sua consistenza sostanziale, e nel suo voler essere inteso quale strumento di politica abitativa per essere diretto al recupero, attraverso pure interventi di riqualificazione energetica (perlomeno così sembrerebbe potersi ritenere), di quegli edifici che si presentino meno efficienti sul piano del risparmio in una ottica green, sarà davvero utile a tutti.

Intanto, perché il Piano Casa già in essere era stato a suo tempo introdotto dall’articolo 11 del decreto-legge numero 112 del 2008. Quindi, perché, fin da allora, la finalità prioritaria della normativa introdotta fu quella di garantire che sull’intero contesto geografico nazionale venissero soddisfatte, ed in particolar modo con riferimento alle categorie socialmente ed economicamente svantaggiate, quelle condizioni abitative minime, necessarie per assicurare un adeguato e dignitoso grado di sviluppo della persona umana e, pertanto, la piena attuazione financo dell’articolo 2 della Costituzione Italiana. Infine, perché, a ben considerare, al tempo, si intendeva porre rimedio a quella che appariva, alla percezione della generalità dei consociati, come una vera e propria emergenza del mercato immobiliare, all’epoca determinata dall’abbassamento considerevole della domanda abitativa e dal contestuale incremento dei tassi dei mutui.

Dicendolo dunque altrimenti, sarebbe importante comprendere se il cosiddetto “salva-case” di Matteo Salvini possa inserirsi sul solco finalistico di quell’originario “Piano Casa”, acquisendo per ciò stesso un teleologismo autonomo direttamente riconducibile a quello precedente e pienamente giustificabile nel contesto attuale, oppure invece non possa dirsi giovevole alla finalità annunciata. Intendiamoci allora ancora meglio per dirlo in parole povere: il provvedimento normativo annunciato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vice-premier è di per sé stesso idoneo a favorire l'incremento del patrimonio immobiliare italiano e ad incentivare nuove edificazioni oltre che a recuperare quelle già esistenti? Sarà effettivamente conforme, nella sua enunciazione letterale e nella sua consistenza sostanziale, alla normativa europea di riferimento? Se la risposta sarà affermativa, condono o non condono o come dir si voglia, allora non dovrebbero (l’utilizzo del condizionale pare sempre doveroso), verosimilmente, porsi impedimenti per l’introduzione di un provvedimento di sostegno alla popolazione ed ai piccoli proprietari di immobili, ma, piuttosto, sarebbe utile unire le forze di maggioranza ed opposizione per favorire la elaborazione di un programma di intervento buono negli intenti, ma sempre perfettibile sul piano elaborativo. Tanto più allorquando, secondo l’opposizione di governo, in particolare del Partito Democratico per voce di Dario Franceschini, si tratterebbe di un provvedimento «incostituzionale» che potrebbe condurre ad una «devastazione del territorio italiano».

Ma se così fosse, o quanto meno se vi possa essere anche solo il rischio che si verifichi una situazione di tal fatta, e alla fine tutto in fondo potrà essere determinato dal modo in cui la norma verrà a consistenza formale, allora non resterebbe, per l’appunto, che compartecipare alla formazione di un progetto che possa davvero andare incontro agli italiani tutti. Le differenti posizioni dei Partiti, tanto di maggioranza, quanto di opposizione, ben potrebbero definirsi quali momenti fisiologici dell’attività di Governo, ma dovrebbero pur sempre rinvenire uno sbocco costruttivo unitario per combinare tra loro, perfezionandole, le differenti sfumature ideologiche e soddisfare così le esigenze della generalità. Se attraverso il provvedimento proveniente dal Ministero delle Infrastrutture si possa financo rispettare il finalismo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, allora dovrebbe porsi come doverosa la cooperazione da parte di tutte le forze politiche. Ogni provvedimento dovrebbe venire in rilievo solo negli stretti termini della utilità pratica e della conformità alla normativa vigente sul piano costituzionale e sistematico generale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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