Vincere le Regionali 2024, per il centrosinistra, non sarà per niente scontato: quello di Massimo Zedda è quasi un presentimento fosco, o se vogliamo un monito ai suoi compagni di strada. Da quattro lustri la Sardegna applica la regola dell’alternanza tra i grandi poli: ma l’ex sindaco di Cagliari, candidato governatore nel 2019, sa che in politica ogni regola può conoscere delle eccezioni. «Qualche collega lo dice: tanto la prossima volta vinceremo noi. Invece non è detto», riflette Zedda. «Se vota il 40-45% degli elettori, basta spostare diecimila voti per decidere le elezioni». Per questo lui e i capigruppo d’opposizione in Consiglio regionale hanno iniziato a parlare di “rinascita”, in un incontro pubblico venerdì scorso a Cagliari: «Per vincere – sottolinea – bisogna iniziare a lavorare subito».

Non è un po’ presto per guardare alle Regionali?

«Diciamo che quell’iniziativa guarda alla Sardegna. Nel senso che noi dovremmo avere davanti quasi due anni per fare un’opposizione più efficace all’attuale disastro della Regione, ma soprattutto costruire un programma serio».

Ha detto “dovremmo avere”. Perché il condizionale?

«Perché non è esclusa un’anticipazione delle Regionali, nel caso in cui il presidente Solinas si candidi alle Politiche».

A dire il vero l’ha escluso lui.

«Io però faccio un ragionamento: l’attuale gruppo al Senato si chiama Lega-Psd’Az, e per conservare il seggio, alle Politiche, questi due partiti dovranno confermare l’accordo. E chi farà il capolista?»

Cioè sarà la Lega a chiedere a Solinas di candidarsi?

«È un’ipotesi. In ogni caso, per arrivare preparati alle Regionali è necessario partire per tempo. Quello dell’altro giorno è stato solo il primo passo».

Ma ha definito il perimetro della futura coalizione?

«Assolutamente no. Quella era un’iniziativa degli attuali gruppi dell’opposizione in Consiglio. Ora il percorso dovrà essere allargato ad altre forze politiche, all’associazionismo, all’impegno civico».

Quali altre forze politiche?

«Beh, nel 2014 Pigliaru vinse con una coalizione di centrosinistra allargata ad alcune forze indipendentiste. Poi, in cinque anni, riuscimmo a distruggerla. Dobbiamo riportare al dialogo tanti che nel 2019 sono andati divisi (oltre ai 5Stelle), e che non sono oggi rappresentati in Consiglio».

Nel 2019 il dialogo con l’area indipendentista si arenò sul concetto di Nazione sarda. Oggi il centrosinistra è pronto ad accettarlo?

«Intanto dico che è un tema affascinante. Ma deve diventare una battaglia di principio, cosa pure legittima, o possiamo ragionare su come rendere davvero indipendente la società sarda? Conta essere indipendenti formalmente, o poter decidere quale tipo di sviluppo, di economia, di ambiente, di società vogliamo?»

Lei quale modello di sviluppo vorrebbe?

«No, non voglio anticipare questi temi, perché credo davvero nel percorso che le ho descritto: se cerchiamo un coinvolgimento serio di altri soggetti, i programmi li decideremo insieme. Partire per tempo consente di non decidere tutto a ridosso delle elezioni. L’alternativa è dire agli elettori: votate noi perché siamo meglio degli altri. Ma non basta».

Quale dovrà essere, allora, il prossimo passo?

«Organizzare in tutti i territori iniziative come quella di Cagliari, e avviare un percorso aperto di partecipazione vera, verso un progetto condiviso. Il metodo incide sulla qualità della proposta finale: e il metodo giusto, a mio avviso, è basato sull’ascolto e l’attenzione alle esigenze dei territori».

Non basta avere una candidatura vincente?

«No. Un candidato alla fine si trova sempre, buono o meno. La differenza può farla il percorso precedente. L’unico che operò così nell’era dell’elezione diretta fu Renato Soru. Poteva piacere o no, ma elaborò un’idea partecipata. Gli altri, dopo, non l’hanno fatto. Io stesso non ebbi il tempo di avviare un percorso lungo, mi fu chiesto di salvare il salvabile e mi misi a disposizione. Facemmo una valida proposta, che ci avrebbe fatto affrontare meglio anche la pandemia».

In che senso?

«Ipotizzavamo il lavoro agile per la Regione, ben regolato: saremmo stati pronti anche nell’emergenza. E poi l’eliminazione del precariato con assunzioni a tempo indeterminato. Se il presidente non avesse bloccato i concorsi nella sanità nel 2019, il sistema avrebbe retto meglio al Covid».

Ammetterà che, per la Giunta, una pandemia dopo un solo anno di governo è stata una difficoltà eccezionale.

«Certo. Ma non mi sembra che il presidente si sia davvero occupato dell’emergenza, ha scaricato tutta la responsabilità sull’assessore Nieddu».

Beh, Solinas cercò di blindare l’Isola, e sull’emergenza si ricordano varie conferenze stampa.

«Sì, quelle in cui le domande dei giornalisti dovevano prima essere vagliate dall’ufficio stampa. In ogni caso, non l’abbiamo quasi mai visto in Consiglio. Non prende mai posizione. Come sul caso delle esercitazioni militari nel Sud della Sardegna. Non si è riunito il Comitato paritetico, e lui non ha dato informazioni precise, lasciando nella confusione generale i sardi e i turisti. Nel complesso, la gestione della Regione è un vero disastro».

Se pensa questo, allora dovrebbe essere sicuro di vincere le prossime elezioni.

«Ma Solinas esercita il potere, moltiplica le poltrone di sottogoverno. C’è un dato alterato di persone che hanno ottenuto posizioni garantite con soldi pubblici, o le stanno attendendo. Il punto è: quanta consapevolezza c’è di questa realtà? Io non penso che Solinas rivincerebbe le elezioni, ma è probabile che alcuni consiglieri del centrodestra nel 2024 prendano più voti di prima, grazie a quell’uso del potere. Se la loro coalizione resta unita, non sarà facile batterli».

Forse sarebbe servita un’opposizione più efficace.

«Nella fase pandemica abbiamo dato alla maggioranza la disponibilità a varare rapidamente i provvedimenti di emergenza, incalzando la Giunta con le nostre proposte sul merito. Per altro, le restrizioni ci hanno reso impossibile incontrarci tra di noi e incontrare le persone, fare opposizione tra la gente».

Non trova però che ci siano stati modi differenti nel fare opposizione?

«Possono esserci state strategie diverse, noi Progressisti siamo sempre stati duri e intransigent. Ma il fatto che l’altro giorno abbiamo parlato a una voce dimostra che abbiamo trovato una sintonia. Emergenza a parte, abbiamo dato tutti la disponibilità a discutere di ripartenza, di Pnrr, e altro ancora. Però dall’altra parte c’è un’incapacità a dialogare per il bene dell’Isola, e allora è doveroso segnalare il disastro. Per citare Totò, ogni limite ha una pazienza».

Ha già in mente un candidato presidente per il 2024?

«Come ho detto, un candidato si trova. Bisogna vincere e trovare un presidente».

Lei è in corsa?

«Ho avuto tanto dalla politica, bisogna essere generosi: se mi venisse chiesto di rimettermi a disposizione, ci penserei. Ma non ho mai sgomitato».

Potrebbe ricandidarsi per fare il sindaco di Cagliari?

«Vale lo stesso discorso. Pensare solo al proprio futuro politico è un egoismo che ha scavato il solco tra i cittadini e la politica. Non può essere l’ambizione personale a determinare le candidature. Io posso dirle che finora ho rinunciato a varie occasioni di andare in Parlamento, o al governo».

Le chiesero di fare il ministro? In quale ministero?

«Mi fu chiesto. Ma risposi di no».

A chiederglielo fu Renzi?

«Certo non Salvini».

All’epoca si parlò di un suo ingresso nel Pd. E ora? Lei oggi non ha un partito nazionale di riferimento.

«Mai avuto la tessera Pd. Ora stiamo facendo un buon lavoro in Sardegna con i Progressisti, e abbiamo contatti con vari gruppi regionali (Lazio, Campania, Emilia, Lombardia e altre) che, come noi, non hanno un partito nazionale».

Ma potreste confluire nel Pd? Si dice che una parte dei Dem sardi le sia ostile.

«Ho mantenuto rapporti corretti con tutti; se ci sono divergenze politiche, ci può stare. In generale, da queste reti territoriali si può ricostruire un progetto progressista, socialista, ecologista. Anche su scala nazionale. Sempre nel centrosinistra, coinvolgendo una parte dell’elettorato».

Insomma, c’è un vuoto a sinistra da occupare.

«Sì, certo. Manca una forza di sinistra organizzata. È anche vero che non si può giocare a calcio con le regole del tennis. Ossia: alle Politiche, nei collegi uninominali, ha senso unire più forze. Ma alle Regionali bisogna correre con più liste».

E al centro, invece, fin dove può spingersi l’alleanza? Renzi, Calenda? O magari anche l’Udc e i Riformatori?

«Come le ho detto prima, non traccio io i confini. Ciò che conta è la chiarezza delle proposte. Però trovo difficile dire oggi che la Giunta Solinas è un disastro, e domani accordarsi con loro».

Giuseppe Meloni

© Riproduzione riservata