Mario Draghi: quale ruolo nel sistema politico italiano ed europeo?
Il successore di Angela Merkel, chiunque sarà, dovrà necessariamente seguirne il non facile tracciato
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Durante la conferenza stampa a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles si è consacrato Mario Draghi quale nuovo leader dell’Unione chiamato a “succedere”, per “acclamazione” della sola Italia, è bene dirlo a scanso di curiosi fraintendimenti, alla cancelliera tedesca Angela Dorotea Merkel.
Siamo al solito “qualunquismo” dialettico, alla “narrazione facilona” e poco attenta avvalorata da quanti nulla sembrano conoscere sulle dinamiche del potere sovranazionale e delle sue modalità di esercizio. Ma qualcuno, tra questi “visionari” sognatori, ha compreso fino in fondo (e/o si è interrogato) su quale possa mai essere, al di là di ogni apparenza e/o immediata percezione sensazionalistica, la funzione reale, e con essa la finalità di Mario Draghi nell’attuale sistema politico italiano ed europeo? Quale “compromesso storico”, siglato con “chi”, può aver mai indotto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a rompere ogni schema normativo di rilievo costituzionale, a disattendere ogni principio interlocutorio e decisionale di stampo “democratico/governativo” per consentire, con il benestare incondizionato di praticamente tutti i partiti (circostanza anomala, quest’ultima, da considerare, a sua volta, in via autonoma), la piena e indiscussa consacrazione dell’ex presidente della Banca Centrale Europea nel ruolo “allargato” di Presidente del Consiglio dei Ministri? A quale superiore interesse Sergio Mattarella e con esso l’Italia intera hanno dovuto, probabilmente loro malgrado, soggiacere? Una riflessione valga su tutte: il versante italiano ha rappresentato, e continua a rappresentare da sempre, nonostante tutto, il “nervo scoperto” dell’archetipo dell’Unione; non vi si riflettono i destini del continente, né mai vi si rifletteranno, ma il nostro Paese concorre, insieme agli altri membri, e nel suo piccolo, a determinare il “quomodo” del complesso sistema che ancora sorregge lo scricchiolante impianto comunitario.
Sullo specifico profilo nulla è in realtà cambiato, a prescindere dalle “garanzie” offerte da Mario Draghi la cui presenza, diversamente da quanti mostrano di voler ritenere, costituisce, semmai, la “prova provata” della “terzietà” dell’Italia nel progetto politico/istituzionale di prossima realizzazione che, con buona verosimiglianza, radicherà la propria legittimazione su un nuovo rivisitato asse Franco-Tedesco finalisticamente orientato al contenimento del “potere autonomistico” crescente dei Paesi cosiddetti di “Visegrad”. Il recente Caso Polacco del resto è emblematico: ignorarlo o, peggio, non considerarne gli effetti a lungo termine può rappresentare un problema. In un contesto siffatto, l’Italia, verosimilmente, può rappresentare, eventualmente, e ricorrendone la necessità, solo un elemento di “stabilità dinamica” di un Asse precostituito e non altrimenti raggiungibile. Intanto, perché, “mutatis mutandis”, non si è riusciti, neppure con Mario Draghi, a risolvere la complessità parlamentare italiana, ancora troppo debole e precaria per resistere ai contraccolpi “esterni” provenienti dai grandi potentati europei, e ancora largamente contraddittoria per non cedere alle lusinghe ideologiche indotte dal “tranello abbagliante” di una crisi di governo che, con buona verosimiglianza, si tradurrebbe in un tracollo senza precedenti. Quindi, perché l’approdo di Mario Draghi a Palazzo Chigi è coinciso con un particolare momento della vita europea, ossia quello inerente la fine del lungo e indiscusso predominio di Angela Merkel il cui successore, chiunque esso sia, dovrà necessariamente seguirne il non facile tracciato. Inoltre, perché, nel contesto così brevemente descritto, Mario Draghi non può che rappresentare solo “l’Uomo di Mezzo” chiamato a guidare, e conseguentemente legittimare, un passaggio di consegne di cui non sarà mai reale protagonista. Facciamocene una sacrosanta ragione. Infine, perché occorrerà attendere gli esiti delle prossime elezioni francesi del 2022 per comprendere quale sarà non solo il destino personale di Emmanuel Macron (reale, sia pur ancora potenziale, successore della cancelliera tedesca), ma dell’intera Europa, la quale potrebbe restare travolta dagli effetti di quel famoso “Patto di Aquisgrana” troppo spesso volutamente ignorato.
“Whatever it takes”. Questo e solo questo continua ad essere il contenuto e la sostanza dell’operato di Mario Draghi: vietato andare “oltre”. Arriverà il momento, scongiurato il rischio pandemico, in cui sarà necessario porre un argine ad ogni politica monetaria di comodo (ammesso e non concesso che di comodo sia) sol perché la stessa non sarà più ritenuta idonea a rispondere agli interessi superiori del Mercato e delle sue rigide regole: ed ecco allora che la “divinità” indiscussa e indiscutibile, l’Italiano Migliore, ritornerà ad essere, nell’immaginario collettivo, né più né meno che uno qualunque. Del resto la sua attività non appare accompagnata e sorretta da una legittimazione politica in senso stretto per non essere mai stato formalmente “eletto”. Sicché il suo attuale potere, forzosamente declinato sulla sua stessa origine patologica, si qualifica alla stregua di una gentile concessione necessariamente limitata nel tempo. Quello stesso potere che oggi, in mancanza di una realistica centralizzazione, è finalizzato a garantire che le risorse del Recovery Fund non vadano ad incrementare le ineguaglianze tra i vari Stati membri e/o, peggio, ad alimentare i vari egoismi nazionali. Se poi Mario Draghi, nel contesto della frazione temporale di operatività concessagli, riuscirà ad imporre un nuovo modello economico apprezzabile idoneo a sostenere l’occupazione e a favorire la crescita sarà tutto da considerare.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)