Il tatticismo espansionistico turco, malgrado il dilagare della pandemia e più probabilmente grazie alla situazione di allarme sociale cagionato dalla stessa, continua a perseguire indisturbato il consueto appressamento del progressivo e graduale consolidamento della partnership strategica con l’Azerbaigian per il contenimento forzoso dell’Armenia ed il contestuale recupero dei territori interessati, nonostante solo qualche tempo fa sia intervenuta una modesta, ma evidentemente solo apparente, distensione delle relazioni tra le parti per la comune lotta al coronavirus.

I troppo timidi appelli internazionali per un “cessate il fuoco” sono finora rimasti inevasi. Al proposito, ha sostenuto il Senatore Azzurro Andrea Cangini con un “post” sulla sua pagina ufficiale facebook, “non è (più) tollerabile l’indifferenza della comunità internazionale in generale e del governo italiano in particolare di fronte a questo nuovo tentativo di genocidio del popolo Armeno” visto e considerato che “la Turchia di Erdogan offre armi e truppe all’Azerbaigian e favorisce il transito di Jihadisti islamici siriani”. Tutto vero purtroppo. E la questione, di carattere squisitamente identitario peraltro, è a tal punto complessa da non poter essere gestita compiutamente dall’esterno siccome, per un verso, l’emergenza pandemica ha reso estremamente fragile il potere di intervento della intera comunità internazionale, per altro verso, il competitor armeno non appare disponibile ad accomodamenti in ordine al controllo del Nagorno – Karabakh e, per altro verso ancora, il nuovo imperversare dello scontro ha ingenerato un impatto destabilizzante su tutte le zone limitrofe, soprattutto laddove si voglia considerare che gli Armeni hanno potuto e possono contare sull’appoggio di Putin, mentre gli Azeri, dal canto loro, hanno potuto e possono fare affidamento sull’appoggio di Erdogan, notoriamente poco incline, quest’ultimo, a trascurare il sentimento di odio ancestrale che da anni orsono divide turchi e armeni contraddistinguendone, in negativo, la qualità delle relazioni reciproche. Inutile dire che, con buona verosimiglianza, a porsi come risolutivo potrà semmai essere soltanto un eventuale intervento pacificatore di Vladimir Putin considerato sia il suo interesse particolare ad evitare la degenerazione del conflitto armato, sia il generale interesse, condiviso anche da Ankara, diretto ad impedire all’Occidente l’esercizio del controllo sulla parte sud-orientale dell’Europa e del Mediterraneo.

A ben considerare, nonostante il clima di torpore generale, le competizioni geopolitiche che animano l’attuale palcoscenico internazionale appaiono perfettamente idonee ad esercitare una sempre più crescente tensione su quei protagonisti, tra cui l’Italia e l’Unione Europea, che se ne considerano, a ragione o a torto, parte attiva sebbene temporaneamente inerte, ed integrante. Tanto più quando, proprio l’Unione Europea, avrebbe dovuto e dovrebbe, e avrebbe potuto e potrebbe, fare affidamento su una “politica estera e di sicurezza” che, stando alle informazioni (ma solo a quelle purtroppo) riportate sul sito ufficiale, “si (sarebbe) progressivamente sviluppata nel corso degli anni, consentendole di esprimersi con un’unica voce sulla scena mondiale”. E ancor di più allorquando si consideri la posizione estremamente delicata del potenziale decisore politico italiano, allo stato comprensibilmente titubante, nel momento in cui dovesse sciogliere la riserva sul se assecondare o meno l’avanzata turca nei Balcani ed in genere nel mediterraneo orientale.

La Turchia, infatti, o meglio la sua posizione fisicamente determinante nello scacchiere geo-politico internazionale, è sempre stata una spina nel fianco tanto per l’Unione Europea, quanto per l’Italia malgrado i buoni rapporti commerciali inter partes, e quanto, altresì, per l’intera comunità internazionale, il più delle volte rivelatasi impotente nel gestire, e/o meglio, nel cercare di incidere positivamente, nel difficile contesto del conflitto in discorso. Il problema dei rapporti con la Turchia, in realtà, si pone su più livelli (nazionale, europeo ed internazionale) e su altrettanto molteplici contesti (religioso, geografico, identitario) e sarebbe una ingenuità pensare di poterlo regolare uniformemente siccome differente si presenta, ovviamente, la prospettiva di indagine e siccome, tra le varie poste in gioco, si distingue quella non trascurabile di garantire la stabilità dei confini dell’Unione benché quest’ultima, nel suo complesso, ed è bene sottolinearlo, non abbia in realtà, e purtroppo, alcun ruolo determinante nell’area in discorso. Alla base di questa impotenza, probabilmente, vi è con buon buona verosimiglianza, la generale tendenza europeista alla “diversificazione”. Il negoziato di adesione della Turchia all’Unione Europea avrebbe dovuto costituire il punto fondamentale di incontro per la concretizzazione, sia pure graduale e complessa, di un traguardo atteso da anni.

Ma ad onor del vero, sebbene si faccia ancora fatica ad ammetterlo, chiunque continui ad esprimere un parere negativo all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, inevitabilmente si sottrae dal compito doveroso di prendere in considerazione i molteplici anelli di congiunzione tra le due pur differenti realtà, quali il carattere geografico dei luoghi, la innegabile storia europea dell’Impero Ottomano, gli elevatissimi livelli degli scambi commerciali inter partes. Né potrebbe essere altrimenti. Intanto, perché la Turchia, nonostante la forza manifestata da Erdogan, necessita di rapporti stabili e concludenti con l’intero Occidente per evitare di restare travolta ed imprigionata tra le maglie soffocanti di un autoritarismo auto-distruttivo. Quindi, perché anche l’Occidente necessita, dal canto suo, di conservare ed intrattenere rapporti diplomatici costanti con la Turchia anche solo per garantire il controllo dei flussi migratori. Purtroppo, ancora oggi, e come rilevato da più parti, persiste un atteggiamento di incontrollata circospezione reciproca tra i Paesi della intera Unione e la Turchia per la semplice quanto dirimente circostanza che l’Europa non ha mai voluto acconsentire al compimento di una integrazione ufficiale della Turchia medesima come “membro” ad ogni effetto lasciando aperta una ferita che di tanto in tanto ricomincia a sanguinare riportando a galla vecchi e nuovi rancori espressi più o meno sottovoce e/o sotto forma di inaspettate ritorsioni.

Certo è che l’aver “ignorato” la Turchia nelle sue aspirazioni a divenire potenziale “Paese Membro”, ha avuto nel tempo ripercussioni piuttosto allarmanti per aver favorito la diffusione crescente di una condizione di euro - scetticismo popolare tra i Turchi di fatto oltraggiati dall’atteggiamento in qualche modo discriminatorio di Bruxelles, il quale da un lato ha accettato di allargare i suoi confini verso i Paesi dell’Europa Orientale, ma ha dall’altro respinto pregiudizievolmente, quanto incomprensibilmente, la Turchia. Di fatto, laddove l’Unione Europea dovesse continuare ad ignorare la questione turca, commetterebbe un errore storico che si troverà ben presto costretta a pagare caro prezzo giacché finirebbe per favorire il definitivo controllo della Russia sul territorio e sull’intera area sud-mediterranea. Laddove non si fosse capito è arrivato il momento dei negoziati, e se l’Italia e l’Europa ometteranno di fare la loro parte intervenendo fermamente e consapevolmente pur senza ingerirsi nelle faccende interne del territorio in discorso, un domani non molto lontano potrebbero perdere definitivamente il controllo sull’area del mediterraneo orientale esponendo l’Occidente ai contraccolpi degeneratori del terrorismo e delle migrazioni irregolari.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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