Diceva Winston Churchill che “quando una nazione tenta di tassare se stessa per raggiungere la prosperità, è come se un uomo si mettesse in piedi dentro un secchio e cercasse di sollevarsi per il manico”.

Il ragionamento, ovviamente, non fa una piega, ma non tutti, quando per convenienza, quando per bieco opportunismo, sembrano volerci prestare attenzione.

E quindi finiscono per riprovarci sempre, facendo affidamento sulla “distrazione” di quanti non dispongano degli strumenti utili per comprendere le dietrologie di un’azione politica perversa che tende ad implementare il malcontento, assecondandolo, per auto-finanziare se stessa e garantirsi il minimo spazio di sopravvivenza.

Lo dimostrano le vicende degli ultimi giorni.

Nonostante formalmente non sia stato messo ai voti dei membri dell’esecutivo in cabina di regia, e stanti la contrarietà manifestata da Lega, Forza Italia ed Italia Viva, come pure le perplessità enunciate degli esponenti del Movimento 5 Stelle, sembra essere mancato l’accordo, come di fatto è mancato, per l’emendamento fisco alla Manovra: non è stata dunque raggiunta l’intesa sul “contributo di solidarietà” da porre a carico dei redditi al di sopra dei settantacinquemila euro.

Si sarebbe trattato, in buona sostanza, di operare un risibile prelievo di 20 euro al mese circa dai risparmi dei cittadini più facoltosi per sostenere (si fa per dire) coloro che si trovassero al di sotto di quella soglia reddituale ed aiutarli a far fronte all’incombente caro bollette. Nulla quaestio, se solo non fosse per quel paio di raccapriccianti storture di fondo che ci inducono a dover qualificare, nei termini fin troppo riduttivi della irricevibilità, l’operato di colui che, con il trascorrere dei mesi, si è rivelato (ma in fondo lo abbiamo sempre saputo) per essere un autentico Premier “di plastica” (a voler parafrasare le parole contenute in un testo celebre di Carmen Consoli): quella per cui il popolo debba paradossalmente autofinanziare se stesso nei momenti di difficoltà, e non solo; quell’altra per cui l’essere modestamente benestanti in un contesto territoriale ed economico angusto quale quello italiano costituisca una colpa da espiare piuttosto che un merito da incentivare; quella ulteriore per cui il Governo, nonostante Mario Draghi, proprio nulla intenda porre in essere, e/o possa porre in essere, per contrastare l’arrivo del cosiddetto “caro bollette” a questo punto inevitabile, se non fare finta di mostrare compassionevole vicinanza ai “poveri” ponendo a carico dei “ricchi” un falso contributo per essere, quello stesso contributo, infinitamente modesto nel suo ammontare per poter assurgere a sostegno concreto.

È la solita storia: il “ricco”, quello davvero “ricco”, e non mi riferisco certamente a quanti percepiscano i richiamati settantacinque mila euro annui, teme la rabbia del “povero”, e l’unico modo che conosce per scongiurarla, è quello di indirizzare quella carica di miserevole e disperata rabbia, su obiettivi sociali “altri” che, sebbene nel complesso discretamente e timidamente benestanti, tuttavia patiscono anch’essi, in misura sia pure ridotta, i contraccolpi dell’instabilità economica e sociale. La si chiami “patrimoniale” o in qualsiasi altra maniera il concetto di fondo non cambia. Cambia, tuttavia, l’impatto che una misura di tal fatta può avere sulla gran parte del ceto medio, ossia proprio quel ceto che, a tirare le somme, ha maggiormente patito gli sconvolgimenti economici ingenerati dalla crisi sanitaria pandemica. Tanto più allorquando si sia perfettamente consapevoli che ad ogni “patrimoniale” ha fatto da contraltare un momento di forte crisi e/o emergenza. E ancor di più, allorquando si voglia ricordare l’effetto traumatico che nel lontano, ma non troppo, 1992, durante il Governo Amato, ebbe il prelievo forzoso del 6 per mille in una unica tranche da tutti i conti dei cittadini per far fronte alla crisi della lira. Per non parlare, poi, venendo a tempi più recenti, dell’applicazione dell’imposta di bollo sui conti correnti durante il Governo Monti, nell’anno 2011, e della contestuale reintroduzione dell’Ici-Imu sulla prima casa.

Se così dunque stanno le cose, e per ricollegarci alla saggezza di Winston Churchill, come si è potuto fondatamente ritenere di poter introdurre una nuova patrimoniale, sia pure mascherata, una tantum o periodica, per saldare i debiti che lo Stato sta contraendo per poter favorire la ripresa economica, o meglio, una presunta, quanto incerta, ripresa economica? Se anche Mario Draghi, alla pari di altri che lo hanno preceduto, non riesce a rinvenire soluzioni alternative allora, ho come l’impressione, probabilmente più che fondata (sebbene il condizionale sia d’obbligo), che l’operazione condotta qualche mese fa dal nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella avesse obiettivi e finalità ben differenti rispetto a quelli/e annunciati/e, e di sicuro completamente inutili e/o di alcun impatto favorevole pratico sul piano socio-economico. Eppure, Mr. “Whatever it takes”, all’atto del suo pomposo insediamento, aveva tuonato con sicurezza che “questo non è (ra) il momento di prendere i soldi dai cittadini ma di darli”.

Tutte storie all’evidenza: soliti proclami privi di consistenza utili a creare un legittimo affidamento puntualmente tradito all’atto pratico. Intendiamoci: nessuno dotato di un minimo di discernimento ed indiscussa buona fede potrebbe mai arrivare a ritenere di non dover far nulla per sostenere quanti si trovino in condizione di bisogno. Tuttavia, nel caso specifico, il paradosso è ideologico prima ancora che concettuale-giuridico: intanto, per essere, la cosiddetta “patrimoniale” considerata, in qualunque forma essa si presenti, quale strumento di “giustizia sociale” idoneo a giustificare, in tempo di crisi, il “sacrificio” straordinario dei più ricchi a vantaggio dei più poveri; quindi, per essere, quella medesima “patrimoniale”, e sotto un differente angolo visuale, assolutamente ingiusta per il fatto di configurarsi quale “seconda tassa” imposta su un patrimonio accumulato tramite redditi già assoggettati a prelievo fiscale.

Non v’è chi non veda il fraintendimento di fondo. Perché a volerla dire tutta, e più correttamente, è solo ed unicamente lo Stato che deve intervenire per tenere indenni ricchi e poveri dagli effetti devastanti della crisi, e non certo attingendo dalle tasche del popolo Italiano il quale, nell’80% dei casi, sopravvive di pensioni e stipendi non certo elevati e, pertanto, inidonei a supportare una imposta straordinaria.

Mario Draghi o non Mario Draghi, la “patrimoniale” quale risposta alla crisi, e non solo, è sempre e comunque una imposta non solo inutile ma anche dannosa perché tende a deprimere l’economia. Luigi Einaudi docet.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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