Ultima nuova sembrerebbe essere la notizia della inesistenza di ogni e qualsivoglia stanziamento specifico per la “insularità” nella legge di bilancio approvata in Consiglio dei Ministri. Nulla quaestio, forse, se solo non fosse che, considerata l’incidenza dell’azione di Governo nell’impegno costante del suo ministro per le Infrastrutture per la realizzazione del cosiddetto “Ponte di Messina”, parlare nel caso specifico di mera “dimenticanza” parrebbe oltremodo surreale sul piano ideale della concretezza politica e su quello fattuale procedimentale attuativo.

Ma tant’è: gli alleati sarebbero tutti uguali (forse) ma alcuni sembrerebbero più uguali di altri? Chissà. Né, probabilmente, si può pretendere di superare siffatta “dimenticanza” semplicemente adducendo ragioni di prudenza nella elaborazione di una manovra finanziaria che, anche nel poco, avrebbe dovuto tenere in considerazione, e prioritariamente, le ragioni delle componenti più disagiate del perimetro nazionale se è vero, come parrebbe essere vero, che la Regione Sarda vi rientra a pieno titolo. La distanza Isola-penisola, lungi dall’accorciarsi fino a ridursi apprezzabilmente, parrebbe invece accrescersi oltre misura.

La questione politica in sé e per sé considerata sembra tramutarsi sempre più in questione sociale di principio e sebbene, quanto meno in teoria, la Sardegna, abbia la possibilità di affrontare in via alternativa al fine perequativo i propri rapporti dinamici con lo Stato, tuttavia, siffatta specialità sembrerebbe restare allo stato di “bella addormentata” sul mare. Si avverte, perlomeno questa sembrerebbe l’impressione che parrebbe potersene ritrarre, una certa stanchezza sul piano istituzionale nel condurre azioni utili alla finalità dichiarata. E la stessa idea di procedere ad una revisione dello statuto speciale nel tentativo di attualizzarlo per renderlo conforme allo scorrere del tempo potrebbe avere ancora un senso solamente ove si individuino e si affrontino in maniera puntuale ed analitica gli aspetti sostanziali che ne avevano suggerito a suo tempo la elaborazione parametrandoli all’attualità. Tanto più allorquando non si intenda dimenticare che le ragioni presupponenti il persistere delle diverse specialità sarebbero da rinvenirsi nella posizione geografica insulare della regione, nella presenza di radicate minoranze linguistiche, nelle particolari condizioni di arretratezza primaria e secondaria indotta di alcune di esse. E ancora di più allorquando, verosimilmente, proprio prendendo le mosse da siffatte incontrovertibili “condizioni” di minorità, a fare la differenza sembrerebbero essere le differenti modalità di attribuzione delle risorse finanziarie e non certamente, diversamente da quanto si sarebbe indotti a credere, l’esercizio (non sempre soddisfacente, invero, sul piano della concretezza attuativa) di potestà legislative di eccezione in deroga e/o speciali della legislazione statale, rimaste troppo spesso, quanto meno sembrerebbe, sul piano puro e semplice della carta.

Le ragioni della specialità sarda, benché siano storicamente  profonde e articolate, all’attualità, al cospetto del riflesso dei tempi, parrebbero apparire oltremodo sbiadite, probabilmente siccome non opportunamente reinterpretate o, forse, siccome in fondo non più rappresentative di una realtà che, invece, lo scorrere del tempo ha reso maggiormente necessitante di essere inserita in un contesto di regime ordinario a dipendenza diretta statale per riuscire a farne apprezzare le crescenti necessità.

Detto altrimenti: sebbene parrebbe essere vero che la Sardegna si sostanzi quale sintesi inespressa di tutte le caratteristiche potenziali di specialità cosiddetta normativa, trattandosi di un’isola caratterizzata da una bassa densità demografica e abitata da una comunità di parlanti una lingua minoritaria, tuttavia, la circostanza, sul piano fattuale e pratico, non pare riuscire a tradursi in esperienza concreta e vissuta. Forse, e si insista con la formula dubitativa, sarebbe opportuno fare riferimento ad un nuovo “Piano di Rinascita della Sardegna”, quale quello impiegato, salvo errore, negli anni passati, oppure ricorrere all’intervento di un rivisitato modello di “Cassa per il Mezzogiorno” per favorire la necessitante infrastrutturazione e la realizzazione di una inedita piattaforma industriale di carattere isolano. La persistente, perlomeno così parrebbe percepirsi, autoreferenzialità delle elites nazionali non può in alcuna maniera riverberarsi in pregiudizio delle realtà regionali maggiormente critiche. Alla lunga, e con buona verosimiglianza, considerato l’andamento costante dell’indirizzo politico centrale, sarebbe opportuno modificare il punto di vista attraverso il quale guardare alle varie esperienze regionali, soprattutto a quelle che parrebbero vantare a tutt’oggi, come la Sardegna, ragioni di specialità.

Dicendolo altrimenti: le caratteristiche maggiormente peculiari di ogni singola comunità territoriale, speciale o ordinaria che si voglia dire, non dovrebbero considerarsi quali puri e semplici fattori competitivi idonei a implementare l’integrazione del Paese Italia nel contesto europeo prima e globale poi, stante comunque l’inesistente o quasi (sembrerebbe) riscontro sul piano pratico; le autonomie speciali sono state fino ad oggi promotrici di aspettative stringenti da parte delle rispettive comunità, le quali, su quel presupposto, si sono fatte negli anni portatrici di una esigenza di soggettività inattuabile nei termini richiesti; le ragioni della specialità e della insularità, comunque portate avanti, potrebbero alla lunga trovare margini di realizzazione in un contesto di ordinarietà, ossia all’interno di un piano generale statale che si esprima in maniera analoga per ogni realtà territoriale nel rispetto delle singole diversità.

In altri termini, ed in estrema sintesi, sarebbe importante, ad oggi, riflettere sulle ragioni della persistenza della specialità regionale che, allo stato, parrebbe apparire in tutta la sua anti economicità sul piano finanziario prima ancora che nella sua inadeguatezza sul piano normativo.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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