I consiglieri regionali possono assumere mogli e parenti? No, la legge lo vieta ancora
Modificato (con procedura d’urgenza) il testo normativo che metteva vincoli sulle chiamate dei dipendenti dei gruppi ma non c’è il truccoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
No, il Consiglio regionale della Sardegna non ha dato il via libera all’assunzione di mogli, conviventi more uxorio e parenti negli uffici dei gruppi del palazzo di via Roma. Resta lo spiraglio per le (e gli) amanti (come ha ironizzato qualcuno tra i banchi), ma questa è tutta un’altra storia, di per sé al di fuori delle regole e di certo non alla luce del sole.
Che è successo, quindi? La vicenda è legata a una legge che non era all’ordine del giorno, entrata nei giorni scorsi in aula con “procedura d’urgenza”, come prevede l’articolo 102 del regolamento consiliare: il testo viene votato dagli onorevoli senza passare dalle commissioni. Lo fanno quando c’è fretta di approvare. In questo caso il tema erano le modifiche a un’altra legge, la 2 del 2014, che norma “razionalizzazione e contenimento della spesa relativa al funzionamento degli organi statutari della Regione”. In quel testo, che negli anni ha subito più di un ritocco – e nasceva dall’esigenza di fare chiarezza dopo lo scandalo dei fondi ai gruppi che per alcuni ha significato carcere e condanne – si regolamentano anche le assunzioni dei dipendenti dei partiti politici in Consiglio. Per capire: nella passata legislatura erano state circa 140.
Il testo vigente fino a qualche giorno fa prevedeva: il dipendente «non può essere coniuge o convivente more uxorio di uno dei consiglieri regionali in carica nella legislatura nella quale l'incarico è conferito, né avere con questi un grado di parentela o di affinità entro il quarto grado». E questo valeva, secondo la legge del 2014, per i comandati (ossia trasferiti in Consiglio da altri enti pubblici) ma anche per i lavoratori a tempo determinato di qualunque provenienza. Questo era scritto, ed era un doppione, sia nel comma 7 quater (tempo determinato) che nel comma 7 quinques (comandati) dell’articolo 9: il riferimento normativo diventa importante. Perché in una legge basta sopprimere un “non” presente in un testo precedente per ribaltarne gli obiettivi: il diavolo sta nei particolari.
La legge approvata in tutta fretta ha stabilito che il divieto del comma 7 quater «è soppresso». A fermarsi qui, e anche viste le modalità di approvazione di sottecchi, sembrava l’ennesimo “scandalo familistico della casta”. Perché di primo acchito pareva che il divieto rimanesse in piedi solo per i dipendenti comandati da altre amministrazioni e non per gli altri assunti. In realtà la nuova legge, in un altro passaggio che interviene sulla precedente, dice che le regole sono applicabili a tutti i dipendenti dei gruppi del Consiglio regionale, perché quelle per i comandati sono estese anche agli altri sistemi di chiamata. Insomma: divieto cancellato da una parte e riesteso dall’altra. Per fare pulizia “normativa”. Caso chiuso.
«La soppressione del divieto prevista da un comma», spiega il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, «è scaturita da un’esigenza di maggiore chiarezza normativa. La disposizione soppressa era, infatti, prevista in due commi diversi dello stesso articolo. Il divieto è ora contenuto unicamente nel comma 7 quinquies dell’articolo 9 della Legge regionale n. 2 del 2014, così come modificata dall’articolo 2, comma 8 della nuova legge, per cui sia i dipendenti in comando che quelli assunti a tempo determinato non possono essere coniugi o conviventi more uxorio di uno dei consiglieri regionali in carica nella legislatura nella quale l’incarico è conferito, né avere con questi un grado di parentela o di affinità entro il quarto grado».