Sembrava avessimo definitivamente scampato il pericolo secessionista di ispirazione padano-veneta. Nemmeno per sogno: ed oggi, proprio nel momento di maggiore difficoltà per la vita del Paese, appare evidente come la dubbia e discussa adesione del partito di Matteo Salvini al “Governo di Unità Nazionale” nascondesse fin da principio, e nasconda all’attualità, l’esigenza di gestire dal “di dentro” e da “padrone” (e per quanto possibile “in solitaria” trattandosi di una tematica interamente interna alla coalizione di centro-destra) il processo autonomistico di rilievo regionale opportunamente ostacolato, tra “i detti” e “i non detti”, nel corso della esperienza di Governo “giallo-verde” cosiddetta del “Conte 1”.

Il Governo Draghi, infatti, come i mezzi di informazione recente hanno puntualmente rappresentato, con il Documento di Economia e Finanza 2021, ha voluto confermare, tra i disegni di legge collegati alla legge di bilancio 2022-2024, un certo ddl recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, 3° comma, Cost.”, ossia, in buona sostanza,  ha voluto offrire rilievo ad una legge ordinaria del tutto idonea, per le sue implicazioni, a compromettere i già traballanti equilibri costituzionali, e che diverrebbe in qualche modo irreversibile nei suoi effetti, laddove andasse ad incidere sui capitoli di bilancio del triennio siccome, per espressa previsione, ai sensi del disposto dell’articolo 75 della Costituzione, non potrebbe essere ammesso alcun referendum avente ad oggetto leggi tributarie e di bilancio. Per il leader leghista, dunque, si prospetta, ancora una volta, la possibilità di ricucire lo strappo venutosi a creare con il mondo dell’impresa e più in generale con il suo rigido elettorato di riferimento, ferito dagli effetti dell’ambizione nazionalista paritaria ed omogeneizzante che aveva attraversato, ed in qualche modo cancellato, sia pure solamente in apparenza, l’ispirazione identitaria di fondo del movimento.

L’autonomia regionale, in buona sostanza, si appresta a divenire l’architrave sul quale poggerà il prossimo futuro assetto (anti) democratico del Paese Italia in aperta disarmonia rispetto alla tendenza europea, ma non europeista, del momento. Intanto, perché, a voler osservare criticamente l’operato del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, la compiuta realizzazione del processo “autonomistico differenziato”, sembra costituire la reale chiave di lettura della intera azione di “Governo di Unità Nazionale”, la risposta dissonante e contraddittoria rispetto alle mutazioni istituzionali che interverranno in esito allo scemare degli effetti assolutistici dell’inossidabile era Merkel. Quindi, perché, come più volte sottolineato, la circostanza, in se e per se considerata, appare confermata perfino sul piano della composizione della squadra dei Ministri, tutti in buona parte espressione di un “nordismo” esasperato ed aristocratico che non mancherà di riverberare i suoi effetti financo sull’assetto amministrativo territoriale del Paese, settorializzandone e frammentandone le misure di intervento attualmente rimaste inespresse per mancanza di un Progetto Programmatico al quale fare unanime riferimento. Infine, perché all’evidenza, la stessa Conferenza Stato-Regioni, nel suo porsi quale sintesi concordata del potere espresso dai vari esecutivi territoriali, e quale protagonista indiscussa, sul piano dell’attuazione pratica, delle misure di intervento emergenziale nel corso dell’intero anno 2020, ha via via contribuito a delegittimare il Parlamento sottraendogli di fatto la capacità decisionale che avrebbe dovuto essergli propria.

Eppure, benchè Mario Draghi paia fingere una certa indifferenza sul punto, l’attuazione dei meccanismi inerenti la stessa “autonomia differenziata” non può in alcun modo ricondursi a meri “accordi” di rilievo “regionale”, ossia obliterando in radice il dibattito parlamentare sul punto. Mi domando allora: è davvero astrattamente possibile, al di là delle pure e semplici intenzioni, riuscire a portare avanti con successo una esigenza non unanimemente condivisa di “separatismo anti-democratico” laddove si ometta di risolvere il problema del coordinamento responsabile tra le istituzioni di governo di rilevanza nazionale e quelle, non meno importanti, di rilevanza territoriale? E’ davvero possibile dare corso a qualsivoglia forma di “autonomismo regionale” in assenza di una preliminare definizione dell’ampiezza e dei limiti del processo di “decentramento” rimasto incompiuto nella sua essenzialità sistemica? Quello stesso agognato “autonomismo territoriale” può in qualche modo contribuire alla realizzazione dell’interesse collettivo, oppure ne costituisce il maggiore ostacolo?

Sono interrogativi dall’esito amaro ed in qualche modo scontato. Si consideri, al proposito, una ulteriore circostanza che aiuta a comprendere il fraintendimento concettuale che neppure Super-Mario riesce a mascherare: sebbene il Sud e le Isole siano completamente trascurate dall’azione di Governo, concentrata invero sulla realizzazione degli interessi dei grandi potentati, nessuna forza politica dell’attuale esecutivo ha mostrato il benchè minimo interesse sul punto contribuendo, per fatti concludenti, ad ampliare il “gap” attualmente esistente tra “ricchi”, sempre “più ricchi”, e “poveri” sempre “più poveri”. Ebbene. Proprio siffatta circostanza costituisce la fulgida espressione della “falla” esistente nel sistema di democrazia parlamentare. Falla evidentemente cagionata dalla incapacità della classe politica nel porsi quale artefice dell’intervenendo mutamento storico-politico. Abdicando in radice alla funzione che avrebbe dovuto essergli propria, l’attuale classe dirigente, ha scelto di venire deliberatamente meno al “patto di rappresentanza” in favore, ed a tutto vantaggio, di un non meglio precisato “tecnico” chiamato, paradossalmente, ad assumere decisioni di rilievo e consistenza politico/pratica.

Sul piano concettuale, e di conseguenza su quello contingente, ci troviamo di fronte ad un pericoloso “fraintendimento”: quello del decisionismo “auto-referenzialistico” dell’Uomo Solo al comando. Un paradigma che, “mutatis mutandis” aveva già condotto, nel passato recentissimo, al declino del leader leghista Salvini sul litorale di Milano Marittima. E se anche Mario Draghi fosse destinato a “cadere” sul cosiddetto “Modello Lombardia” cosa sarebbe dell’attuale panorama governativo nazionale?

Tutto considerato, e malgrado le contraddizioni intrinseche all’attuale assetto politico, ho come l’impressione che nonostante i consueti tentativi di perseguire “altrimenti” riforme anti-democratiche, manchi la volontà, fortunatamente, di andare fino in fondo nel perseguimento dello specifico obiettivo “separatista”, dal momento che proprio il “difetto di rappresentanza” che pare affliggere le forze politiche di maggioranza ne rappresenta il maggiore ostacolo. Siamo al paradosso del “cane” che “si morde la coda”: si continua col solito giro-tondo a discapito di ogni mirato intervento concreto utile a perseguire il “Solidarismo di Stato”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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