“No Pass” uguale “No Vax”: questo sembra essere il paradigma significativo di un fenomeno sociale che pare volersi sostanziare nelle forme complesse di un individualismo metodologico persistente votato alla dissoluzione dei rapporti tradizionalmente intesi tra la società civile ed il decisore politico siccome facente leva su una concezione complessa e disarticolata della razionalità per cui le ragioni dei suoi molteplici attori (i cosiddetti “manifestanti” più o meno occasionali) possono essere ritenute “buone” e “giuste” senza, tuttavia, esserlo oggettivamente. Quello “No Pass” e quello “No Vax” sono fenomeni sociali inscindibili: non esisterebbe l’uno (il primo) se a monte non esistesse l’altro (il secondo) siccome ogni fenomeno sociale è il risultato della combinazione di azioni, credenze o atteggiamenti individuali, per cui, inevitabilmente, la sua spiegazione sembrerebbe consistere, come di fatto consiste, nel ricondurlo, quello stesso fenomeno, alle singole cause individuali delle quali appare essere il prodotto. Non si vuole il Green Pass o Certificato Verde o che dir si voglia perché in realtà non si vuole il Vaccino Anti Covid-19. Tutto qui.

Se il paradigma nasconda in se qualcosa di “rivoluzionario” è presto per dirlo, e sinceramente non lo credo affatto, anche perché, finora, quello stesso fenomeno “No Pass” a cui, nonostante tutto, certa parte della politica ha incautamente voluto, e continua altrettanto incautamente a volere strizzare l’occhio, ha saputo evidenziarsi unicamente nella sua connotazione negativa di limite ostracizzante che trova, o vorrebbe trovare, nel diritto “alternativo” rovesciato del rispetto delle “minoranze” (sempre che di “minoranza” giuridicamente concepibile in quanto tale possa parlarsi), la sua giustificazione ideologica. Come dire, “papale papale”, e senza giraci troppo intorno, che se il “mezzo” non appare consono (la protesta in molti casi violenta), quanto meno il “fine” (la ricomposizione del tessuto sociale) deve sembrare aulico ed utile. Pur nell’assenza di un “reale” contesto normativo di riferimento, di regole di comportamento astrattamente suscettibili di rivenire una compiuta applicazione pratica per essere socialmente condivisibili sotto l’insegna ibrida e fallace di una sedicente “dittatura” inesistente nel contesto dinamico di riferimento, quello civile, ma esistente, o percepita comunque come tale, solo ed unicamente nella mente di quanti, reali ed unici “disgregati sociali” (nel senso letterale dell’espressione), abbiano il bisogno ancestrale di crederci per offrire uno sfogo razionale ad una condizione di disagio diffuso le cui cause scatenanti sarebbero, verosimilmente, da rinvenirsi in meccanismi “altri” di trasformazione (o “de-formazione”) sociale, già consumatisi, siccome risalenti nel tempo ed attribuibili a responsabilità altrettanto “altre” di cui all’attualità possiamo cogliere unicamente i riflessi. In ragione di tanto, la pura e semplice incapacità dei pochi “no pass” di volersi conformare ad una data regola di comportamento individuale non può continuare ad essere confusa con una non meglio determinata esigenza di “ricomposizione sociale”.

Le ragioni irragionevoli (stando alla spiegazione offerta) della “resistenza vaccinale” non hanno nulla a che vedere con la tutela delle minoranze, e l’assenza di regole, perché di questo si tratta, nulla ha a che vedere, a sua volta, con la “lotta di classe” e con l’esigenza di garantire la tutela delle condizioni di lavoro imposte. La libertà di scelta (rivendicata come bene primario), inoltre, diversamente da quanto mostrano di voler ritenere pretestuosamente i “no pass” (rectius “no vax”), presuppone la assunzione di forme di “responsabilità individuale” consapevole ed auto-limitativa di cui non può in alcun modo farsi carico la società civile nella sua complessità per la semplice, quanto dirimente circostanza, che non esiste, all’attualità, il presupposto della sua pretesa, ma non comprovata, legittimazione giuridico-sociale, ossia, in una parola, la “dittatura”. Ma vogliamo poi dirla tutta? Il vero “male”, per quanto di ragione, e a voler bene considerare, sembra essere quella patologica tentazione della Classe Dirigente, di certa Classe Dirigente di matrice destrorsa, finalisticamente orientata alla raccolta del consenso, di convertire in motivazione politica ogni minimo fenomeno sociale, dando luogo alla creazione di pericolose categorie comportamentali idonee a porsi quali ricettori di inutili pregiudizi di dubbia connotazione.

La “politica della conoscenza” e della “fermezza”, questa sconosciuta, appare soppiantata dalla “politica dell’irrazionale”, perché credere al “gomblotto”, alimentandone il sospetto, è assai più semplice che (far) accettare, come necessario, un “sacrificio” dovuto solo perché imposto, sia pure in forma “gentile”, da una Autorità (rectius: Esecutivo) non voluta, né accettata come tale per non essere stata “votata” dal Popolo Sovrano la cui sovranità è apparsa, negli ultimi tempi, ridotta alla condizione servile dell’acquiescenza comandata proprio per volontà, sembrerebbe, di quella medesima Classe Dirigente e dei suoi tatticismi di Palazzo. Ma se così è, come parrebbe essere, si può fare affidamento su quella stessa classe dirigente per assicurare il rispetto delle regole al di là ed oltre ogni forma di compromesso al ribasso utile solamente a dare seguito ad ulteriori differenziazioni sociali? L’alimentare la rabbia, il condividerne le ragioni quale metodo di raccolta del consenso in funzione di un ipotetico, ma sempre più lontano ed ideale futuro di Governo, è eticamente apprezzabile? Si può governare all’insegna dell’irrazionale e dell’incapacità di assumere decisioni responsabilizzanti solo perché schiavi della percentuale statistica di consenso? Le risposte, come sempre, sono direttamente conseguenti, ed è evidente che se si cominciasse a non voler confondere questi differenti profili di indagine, allora potrebbero davvero crearsi i presupposti fondanti per una compiuta inversione di tendenza che lungi dal voler “propagandare” un modello di società anomica, intenda invece contribuire a poggiare sull’informazione utile la creazione di una rinnovata realtà sociale solidale e solidarizzante per essere essa stessa fonte primaria di auto-responsabilità.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro) 

© Riproduzione riservata