Il progetto del Terzo polo, a guardarlo bene, sembra quello di una Dc ma senza l’obbligo di andare a messa. L’ispirazione di Carlo Calenda non è democristiana (semmai azionista, infatti ha fondato Azione), ma l’aspirazione sì: nel senso che, quando parla di «una grande forza tranquilla, centrale», fuori dal duello destra-sinistra, sembra aspirare alla conquista di uno spazio politico a lungo smembrato. Non è un percorso che finirà il 25 settembre, ma le urne diranno se è fattibile. Serve un buon risultato, e Calenda fissa l’asticella al 10%: «Al di sotto, sarebbe un insuccesso».

Bella alta, questa asticella.

«Io dico da tempo che andremo anche oltre il 10. Il nostro obiettivo è superare la Lega e creare le premesse per un governo di unità nazionale, oltre il conflitto destra-sinistra».

Come ci si può arrivare?

«Basta che noi prendiamo dal 10 al 12%, e l’unico governo possibile sarà quello di Draghi. Non consentiremo che se ne formi un altro».

Ma Draghi non è disponibile.

«Anche Mattarella si era detto non disponibile al secondo mandato: ma quando la Patria chiama, le persone responsabili rispondono. Draghi non poteva dire altro».

Come fa, col 12%, a fermare Giorgia Meloni?

«Col sistema proporzionale, e un M5S alto, il centrodestra non avrà la maggioranza. E poi la destra è sfasciata al suo interno. Dall’altro lato, il Pd addirittura dice di non voler governare con i suoi stessi alleati, Fratoianni e Bonelli».

Allora chi ci sarebbe, in questa unità nazionale?

«La formazione del governo Draghi, ma senza i 5Stelle».

E ancora senza FdI, quindi.

«Sì, ma con una differenza: ci sarebbe un grande polo liberale riformista repubblicano, di supporto all’agenda Draghi».

Correndo senza il Pd, non fate un favore alla destra nei collegi uninominali?

«Erano già persi. Letta ha attuato una strategia per cui, comunque, c’erano quattro poli. Noi, oltre ai voti dei riformisti delusi dal Pd, prenderemo moltissimi voti anche al centrodestra, come ho fatto io a Roma arrivando al 20%».

Sogna una nuova Dc?

«No, un grande soggetto politico centrale, una forza tranquilla che fa accadere le cose. Senza promettere la luna o inseguire sussidi e bonus come unica idea di governo».

Mai con Meloni, comunque.

«La sua linea è ogni giorno più radicale, più a destra. E molto lontana dalla nostra: no al rigassificatore di Piombino, no al gasdotto nelle Marche... Mal si sposa con uno spirito repubblicano, che vuole lavorare su cose concrete».

Quante probabilità ci sono di rivedere Draghi premier?

«Secondo me, il 90 per cento».

Addirittura?

«Sì, io non vedo una prospettiva di governo di destra. Berlusconi e Salvini si sganceranno un istante dopo il voto».

Dal Pd la accusano di attaccare più loro che la destra.

«È una stupidaggine. Sono quello che attacca meno di tutti, da 25 giorni chiedo di fermarci per parlare di caro bollette. Non mi piace dividere l’Italia in due, come fanno i manifesti in cui chi è pro-vax vota Pd e chi è no-vax no. Vede, se non si ricrea una larga coalizione con Draghi presidente, il Pd tornerà subito col M5S».

Con Renzi sembravate molto distanti, ma poi...

«È vero, siamo stati molto distanti sul governo Conte bis. Ora ha fatto un passo indietro significativo. C’è il mio nome sul simbolo, mi ha attribuito la leadership dell’alleanza».

Lui si fa anche vedere poco.

«Credo che sia interessato a far nascere un grande partito della Repubblica, che sia poi anche il suo lascito politico».

Alleanze a parte: come si reagisce al caro bollette?

«Intanto dobbiamo disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, visto che solo il 40% è prodotto dal gas. Facile dirlo, un po’ meno farlo. Serve l’obbligo di vendita al Gestore dei servizi energetici, indennizzare chi ha già ceduto i flussi di cassa... Ma si può fare. E si abbatte il costo dell’energia di circa il 40%».

Scusi, ma qui i ristoratori dicono che il mese prossimo chiudono.

«Infatti quel taglio non basta, ci sono aziende, negozi, panetterie che hanno costi dell’energia molto alti. Devi aggiungere soldi per ridurli ulteriormente, e questa cosa costa circa 15 miliardi ogni due mesi».

Da trovare facendo deficit?

«Sì, perché se perdi quelle attività l’impatto che hai sul Pil e sull’occupazione è tale che pagherai molti più soldi».

Lei non ama il reddito di cittadinanza, ma propone il salario minimo. Perché?

«Propongo un salario minimo a 9 euro perché non si deve lavorare sotto quella cifra. Ma se ricevi il Reddito di cittadinanza e ti offrono un lavoro, o accetti o perdi il sussidio. Le due cose stanno bene insieme: oggi spesso la gente non accetta gli impieghi pagati troppo poco, col salario minimo non accadrebbe».

Cosa propone Azione per lo sviluppo e l’occupazione?

«Anzitutto il pieno rilancio di Impresa 4.0, che ha fatto sviluppare le aziende e fatto crescere la nostra produzione industriale, l’innovazione e l’export più della Germania. Poi le dico una cosa cui tengo molto, legata al Sulcis e in particolare ad Alcoa ed Eurallumina: bisogna lavorare per avere una nave di rigassificazione che consenta l’uso del gas a prezzi calmierati, così da riprendere la produzione di alluminio. Con la globalizzazione, pensavamo di poter prendere certi beni dalla Cina; oggi capiamo che quelle produzioni devi averle anche a livello europeo e nazionale».

Il Galsi può tornare utile?

«Se ne può parlare, ma è molto costoso, lungo, difficile. Mettere una nave di rigassificazione al largo è molto più semplice».

Lei è a favore del nucleare: si sente di dire che non ci saranno centrali in Sardegna?

«In prima battuta no, sarei un cialtrone. L’ubicazione si decide con studi approfonditi. Però la Sardegna ha già dato, per molti aspetti: come i poligoni militari. Diciamo che si è meritata l’esenzione. E poi una centrale in Sardegna non avrebbe un senso economico, dovresti fare nuovi elettrodotti per trasmettere l’energia prodotta».

Capitolo riforme: voi proponete l’elezione diretta del premier. Somiglia al presidenzialismo di FdI?

«È il progetto del sindaco d’Italia, diverso dall’idea di Giorgia Meloni perché per noi il capo dello Stato deve restare un elemento non partigiano, fattore di unità nazionale e garante della Costituzione. Ma ci sono altre riforme urgenti: anzitutto l’abolizione di una Camera, perché col taglio dei parlamentari il processo legislativo sarà lentissimo. Poi va rivisto il Titolo quinto della Costituzione, mettendo sotto il potere centrale gli investimenti strategici, specie sull’energia».

Ma farebbe salva la specialità regionale?

«Certo. Io parlo di alcune competenze strategiche: se devo mettere un rigassificatore nel Sulcis non posso perdere tempo con la Regione o i Comuni. Se lo ritengo necessario, lo faccio e fine della discussione».

Per il rigassificatore di Piombino ha detto che manderebbe i militari… Non è esagerato?

«L’ho fatto col Tap in Puglia. Lo dichiarai sito di interesse nazionale, e mandai i poliziotti a sorvegliare il cantiere: altrimenti il Tap non l’avremmo mai fatto».

Quali sono le altre proposte cardine di Azione?

«Spendere i pochi soldi che abbiamo solo su sanità e istruzione, i due grandi pilastri del welfare italiano. In media ci vogliono 22 mesi per una mammografia e 13 per una Tac. Bisogna anzitutto prendere il Mes sanitario, che vale più di 30 miliardi, e poi assumere 50mila infermieri e 40mila medici».

Cosa dice a chi vorrebbe ridiscutere il Pnrr?

«Che se lo ridiscutiamo lo perdiamo, e se perdiamo il Pnrr perdiamo anche lo scudo anti spread della Bce, che è collegato. E se succede questo, ci spacchiamo la testa».

Giuseppe Meloni

© Riproduzione riservata