La notizia è di solo qualche giorno fa. I contenuti del comunicato stampa numero 62 relativo alla seduta del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2023 sono stati enunciati, e sono stati financo recepiti, in maniera piuttosto chiara proprio in considerazione del loro contenuto sostanziale: “… sotto la presidenza del Vicepresidente Antonio Tajani… il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, ha esaminato trentasei leggi delle regioni e delle province autonome e ha quindi deliberato di impugnare: 1. la legge della Regione Sardegna n. 9 del 23/10/2023, recante ‘Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie’ in quanto talune disposizioni, eccedendo dalle competenze statutarie e ponendosi in contrasto con la normativa statale in materia di ambiente e paesaggio, di ordinamento civile, di ordine pubblico e sicurezza, di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, di tutela della salute, di coordinamento della finanza pubblica, di governo del territorio ed assetto territoriale, violano gli articoli 9 e 117, primo e secondo comma, lett. h), l) ed s), 117, terzo comma e 133, secondo comma, della Costituzione”.

Si tratta, dunque, nella specie, di quella specifica notizia per cui il Governo Meloni, promotore e sostenitore dell’ideologia cosiddetta di autonomismo differenziato portata avanti proprio per il tramite del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, in forze tra le fila della Lega di Matteo Salvini, ed avente colore politico analogo a quello della attuale amministrazione regionale sarda, avrebbe deciso, appunto, di impugnare la Legge Regionale Sardegna del 23 ottobre 2023, n. 9 (recante Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), ossia il cosiddetto collegato alla finanziaria regionale, davanti alla Corte Costituzionale ai sensi e per gli effetti dello articolo 127 della Costituzione per conflitto di attribuzioni.

Nulla quaestio sul piano squisitamente formale: l’azione rientra a tutti gli effetti nel perimetro di competenza del governo. Perplessità, in effetti, sembrerebbe aver sollevato, tra l’altro, pure l’inedito (probabilmente sovrabbondante) assetto territoriale delle province e delle città metropolitane: soprattutto quello inerente la Provincia di Sassari, mentre Cagliari sarebbe destinata a conservare l’attuale estensione. Parimenti, parrebbero (occorrerà attendere il testo della impugnativa per averne precisa contezza) destinate a scomparire tutte le nuove “formazioni”. Al vaglio, inoltre, per essere considerate potenzialmente violative del portato costituzionale, vi sarebbero, pure, talune norme urbanistiche, oltre che tali altre di carattere sanitario ed ambientale.

Intendiamoci, giusto per non creare fraintendimenti di sorta: sulla questione “Province”, i sardi si sono già espressi con proprio voto referendario (espressione autentica di democrazia e di autonomia) anni orsono (l’orientamento, ad oggi, potrebbe non essere mutato) e le urne diedero al tempo un responso piuttosto chiaro che ancora si dovrebbe rispettare e condividere, inerendo, giusto appunto, questione attinente il governo e la gestione fisica del territorio isolano. Il “sì”, dicendolo più chiaramente, alla abolizione degli enti intermedi all’esito del referendum del 2012 è stato chiarissimo. Fermo restando, poi, che il cosiddetto regionalismo dovrebbe essere solidale e non competitivo, e che dovrebbe primariamente porsi in maniera rispettosa rispetto alla natura unitaria ed indivisibile della Repubblica Italiana, il punto critico, invece, nella questione specifica, parrebbe piuttosto essere di natura squisitamente politica.

Diversamente dicendo, e cercando di tradurre il concetto, se il Progetto di Autonomia Differenziata del Ministro Calderoli prevede che alcune Regioni possano ragionevolmente richiedere un margine superiore di autonomia unitamente a maggiori correlati poteri rispetto alle altre, quanto meno, dovrebbe (ed il condizionale è d’obbligo), allora, prevedere ogni maggiore cautela rispetto al regionalismo statutario sardo e alle sue espressioni. Così parrebbe forse non essere, ed il condizionale, in attesa di più specifici chiarimenti, appare necessario. Vero è, infatti, che ogni legge regionale e provinciale possa ben essere esaminata dal Governo della Repubblica, il quale, stando alla lettera della disposizione normativa di riferimento, articolo 127 della Costituzione, dispone di sessanta giorni dalla data di pubblicazione della legge sul bollettino regionale per promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte deputata, previa delibera del Consiglio dei Ministri, ovvero, nella ipotesi degli statuti delle regioni ordinarie e delle leggi che determinano la forma di governo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, di trenta giorni.

Di sicuro, le questioni al vaglio sono complesse e, certamente, non di pronta soluzione. Tanto più allorquando ogni riflessione sulla “geografia amministrativa” delle amministrazioni italiane si inserisca, necessariamente, nel dibattito, assai più ampio ed articolato, inerente i rapporti, a volte intermittenti, tra la pubblica amministrazione e il territorio di riferimento nel contesto dello intero perimetro europeo, all’interno del quale i livelli territoriali di riferimento sarebbero pur sempre inquadrati in una quaterna: quello comunale, quello provinciale, quello regionale e quello statale. Tanti i tentativi di riforma alternatisi negli anni. Tante le problematiche di volta in volta affrontate, ma, ciò nonostante, la delimitazione delle circoscrizioni amministrative parrebbe apparire sempre troppo complessa per poter essere gestita nel contesto di puri e semplici interventi di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali concepiti dai singoli governi in base al rispettivo colore politico. Se dovessimo dover definire siffatto trend, probabilmente dovremmo rassegnarci a considerarlo una costante statica della storia della Repubblica. Le Province, a seguito degli interventi riformisti del governo Monti, si sono trasformate in enti di secondo grado, con conseguente trasferimento delle funzioni svolte dalla Province medesime ai Comuni o alla Regione. Prima di intervenire in qualunque modo, probabilmente sarebbe necessario intraprendere un esame dettagliato ed obiettivo dei pro e dei contro rispetto alla concentrazione intervenuta di attribuzioni. Coerenza e razionalità dovrebbero guidare ogni azione tanto di carattere regionale quanto di carattere centrale in funzione del recepimento del principio di solidarietà.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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