Anche in Sardegna l’autunno sarà all’insegna della politica: i giorni 10 e 11 ottobre si terranno le Elezioni Comunali in ben 102 (su 377) Comuni dell’Isola con turno di ballottaggio nelle giornate del 24 e 25 ottobre. Si voterà, in particolare, con il sistema elettorale maggioritario a doppio turno in tre Comuni con popolazione legale superiore alla soglia dei 15.000 abitanti, mentre nei restanti 99 la popolazione continua a non superare la soglia indicata.

Nulla quaestio, tutto sommato, sotto il profilo generale posto che il rinnovo della classe dirigente, anche nelle realtà isolane più piccole e meno densamente popolate, ha costituito nel corso degli anni, e costituisce pur sempre ancora oggi considerato l’attivismo in campo, una occasione di “cambiamento” all’interno di comunità comunque vivaci e recettive siccome da sempre coinvolte fattivamente nella vita sociale e politica del proprio paese di riferimento. Si potrebbe addirittura dire, senza timore di smentita, che il livello di partecipazione alla vita politica, da parte delle singole comunità locali, sembra essere inversamente proporzionale alla loro densità di popolazione: le piccole comunità, insomma, e dicendolo altrimenti, sembrano saper essere espressione della solida conservazione di un “interesse civico” superiore rispetto a quello riscontrabile in comunità di più ampia portata, ove a farla da “padrone” pare essere quasi sempre un “interesse di ordine sovrapposto e alternativo” variamente interpretabile siccome non direttamente riconducibile, a volte e quanto meno in apparenza, all’interesse immediato della comunità rappresentata. Differente, e alquanto variegata, benché pienamente rispondente al livello di partecipazione e di coinvolgimento popolare, sembra invece presentarsi la situazione sul piano particolare specifico, ove non senza stupore si rileva l’esistenza, e la persistenza invero, di un “civismo” inedito, di volta in volta rivisitato quando in senso “negativo” per essere né più né meno quel “civismo” che la “maschera” compiacente dei partiti tradizionali variamente interessati in loco, quando in senso “positivo” per essere, esso stesso “civismo”, il timido “riscontro armato”, aperto e neutro, ai meccanismi subdoli della politica tradizionale, divenuta oramai poco sostenibile siccome rimasta priva non solo di credibilità sul piano del “legittimo affidamento” sociale, ma anche di progetti programmatici materialmente “consumabili” ed “apprezzabili” nel breve e medio termine.

Per dirla tutta, e senza girarci troppo intorno, ho come l’impressione che il “civismo”, nella nostra Sardegna, sia germogliato, e si sia affermato forse inconsapevolmente, come trasposizione e trasfigurazione concreta della metafora dell’“homo faber”, ossia dell’“Uomo artefice del proprio destino” che, nei casi più fortunati, rifugge ogni possibile inquadramento partitico e dogmatico, per farsi interprete di un pragmatismo funzionale e necessario, oltre che finalmente utile, che vada oltre ogni narrazione di comodo e oltre, altresì, ogni tentativo di fuga dal confronto misurato e cordiale. Le comunità isolane, piccole o grandi che siano (soprattutto all’esito, e in conseguenza, di una Riforma sciagurata che ha favorito le realtà metropolitane e l’isolazionismo delle zone interne), vogliono tornare protagoniste, vogliono esprimere con decisione la loro esistenza e far pesare la propria rilevanza attraverso il recupero del dialogo e del confronto diretto con i centri di potere, rimasto purtroppo soffocato e per ciò stesso mortificato (il dialogo si intenda) nel corso dei lunghi anni trascorsi. La prevalenza indiscussa di liste civiche in una Sardegna per tradizione fortemente “identitaria” e “gelosa” delle proprie “specificità territoriali” rappresenta oggi l’esempio concreto, se non proprio il paradigma interpretativo, del tentativo di trascendere ogni appartenenza identitaria per divenire “Comunità” di “Insiemi” (intendendo per tali i vari paesi) all’insegna di una rinnovata “solidarietà” votata al perseguimento dell’interesse collettivo e perseguita nella piena consapevolezza del dover gettare le fondamenta per costruire, tutti insieme, le condizioni di una nuova forma di “coesione sociale” che sia realmente percettiva dell’interesse inter-relazionale delle diverse realtà comunali isolane.

Assistiamo, in buona sostanza, e secondo il mio modestissimo avviso, a una chiara inversione di tendenza in “autodifesa” rispetto alle dinamiche che governano la politica nazionale, ove la comune convergenza sul “civismo” rappresenta all’attualità il solo meccanismo spendibile dai Partiti siccome diretto a camuffare l’incapacità di creare intese politiche forti e decise capaci di trascendere l’interesse particolaristico. Detto altrimenti, se a livello nazionale l’idea di affidarsi alla società civile costituisce solamente una alternativa provvisoria utile a sostenere l’esigenza di ricomposizione dei Partiti Maggioritari, nelle singole realtà regionali, specie in quelle più pesantemente mortificate dai meccanismi centripeti dell’azione di Governo, l’affidamento alla società civile rappresenta l’esigenza di provvedere, in prima persona, al bene comune, nel tentativo concreto di perseguire, ciascuno, il proprio interesse non solo specifico particolare, ma pure relazionale e comunitario di insieme, anche attraverso la sperimentazione di percorsi alternativi e trasparenti. Sarà interessante, nei prossimi mesi, scoprire se questo “esperimento civico” avrà fortuna e, soprattutto, se riuscirà ad imporsi anche a livello governativo regionale in relazione al quale, evidentemente, necessita, a tutt’oggi, di radicarsi preliminarmente, ed autonomamente, sul territorio.

Credo sia necessario, a questo punto, chiarire un concetto a scanso di equivoci: la contrapposizione non è tra cosiddetti “buoni” (i cittadini) e cosiddetti “cattivi” (i vari esponenti della politica), ma solo tra due differenti modi di concepire l’attivismo civico che, negli ultimi tempi, a cagione di vicissitudini piuttosto sfortunate del sistema di governo nazionale ha dovuto fare ricorso, nella sua formulazione negativa, ad “escamotage” tutt’altro che risolutori che hanno contribuito ad ammalorarne il significato. Non ci resta che attendere gli esiti, pertanto, delle prossime urne di ottobre, per apprezzare l’impatto che sapranno imprimere a livello territoriale e quindi per comprenderne le involuzioni future.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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