Fotocopie per le dita delle mani
di Nicola LeccaP iù di trent'anni fa la stazione delle ferrovie complementari di Via Dante, a Cagliari, vantava un'avanguardia non da poco. Davanti all'ingresso, infatti, c'era una fotocopiatrice. Si trattava di un apparecchio (alto circa un metro e largo poco meno) che permetteva di creare istantanea copia di qualsiasi documento. Per azionarlo bastava una moneta da 200 lire. La vicinanza con il Palazzo di Giustizia rendeva questo macchinario particolarmente ambito da quegli avvocati che, nella fretta, avevano dimenticato in studio la copia di qualche atto che sarebbe servito in aula.
Affinché la fotocopia venisse bene bisognava inserire il foglio nell'apposito spazio e premere con forza lo sportellino in plastica bianca. La carta usata era speciale, liscia, spessa e molto lucida. Per certi versi simile a quella usata per sviluppare le fotografie.
Poco lontano da lì, abitava un adolescente creativo cui piaceva molto inserire le mani nello spazio riservato ai documenti e fotocopiarsi le dita: con le quali aveva imparato a mimare tutti i sentimenti: rabbia (pugni chiusi), amore (un cuore), paura (tutte e dieci le dita ben aperte).
Presto, anche i suoi amici cominciarono a usare la macchina fotocopiatrice in quel modo. Per gli avvocati del Palazzo di Giustizia fu un disastro.
«Ragazzini. Smettetela di giocare e levatevi di torno che ho urgenza di fare una fotocopia per un'udienza»!
«Questo è un luogo pubblico signore, il macchinario è pubblico, noi stiamo pagando per fotocopiare le nostre mani e quindi lei aspetti il suo turno», gli rispose il più saputello del gruppo.
L'avvocato, essendo un uomo di legge, fu costretto ad accogliere l'obiezione e, in silenzio, attese il proprio turno mentre i ragazzini, incuranti della sua fretta, continuavano a godersi quel gioco nuovo, insolito e divertentissimo.