C i voleva una penna dotta e autenticamente liberale come quella di Ernesto Galli della Loggia per riportare a una dimensione di buonsenso - e di verità - ciò che è accaduto nei giorni scorsi al Salone del libro.

La vicenda è nota: al termine di un incredibile teatrino allestito da improvvisati censori si è deciso di chiudere lo stand «di una scalcagnatissima casa editrice di serie zeta» - parole dello storico romano - «diretta da un signor nessuno al quale, travolto da un'inaspettata notorietà, non è parso vero di far sapere al mondo che lui è ancora fascista».

Di cosa era accusato Francesco Polacchi, l'editore che fino all'altro giorno si era distinto solo per l'appartenenza a Casa Pound? Di aver pubblicato il libro di un'altrettanto poco illustre giornalista, Chiara Giannini, incentrato su una lunga intervista a Matteo Salvini, politico del quale conosciamo già vita morte e miracoli e che quotidianamente deborda sui social, la tv, i giornali. Un contenuto altamente sovversivo, si capisce.

L'editorialista del Corsera, con una colta e approfondita dissertazione, ha ricordato i dettami della nostra Costituzione, che spesso definiamo la più bella del mondo. Ha rammentato, per esempio, che un principio cardine della democrazia liberale è che tutte le opinioni devono essere libere di esprimersi, «anche le più sciocche, crudeli o antidemocratiche», a patto che ci si limiti a divulgarle con la parola o con lo scritto senza far ricorso a mezzi violenti. (...)

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