I n un recente editoriale sul Corriere della Sera, Sabino Cassese ha posto in evidenza come i partiti politici italiani, «nati con un piede nella società, l'altro nello Stato», abbiano finito col conservare il secondo e perdere il primo, con una conseguente «grave crisi di legittimazione». Tra i segni che contraddistinguono la loro crisi, Cassese cita il crollo della militanza di partito, col caso estremo dei 5Stelle dove gli iscritti sono appena l'1% degli elettori, e l'uomo solo al comando, dove è il leader a prendere i voti e quindi ad esercitare il comando modellandolo sui suoi interessi personali e di partito.

Un altro segno della decadenza sta nella «sostituzione dei programmi con gli schieramenti». Il vuoto delle idee su analisi di ampio respiro, che un tempo costituivano le piattaforme programmatiche che talvolta sconfinavano nel libro dei sogni, è ora rimpiazzato da singoli argomenti particolarmente sentiti dall'opinione pubblica (immigrazione illegale, fiscalità elevata, spesa pubblica incontrollata, corruzione della politica, inefficienza della pubblica amministrazione, ecc.), sui quali i politici chiedono il consenso.

«Questa inconsistenza associativa e ideale dei partiti - continua Cassese - produce molti effetti, tra cui la volatilità dell'elettorato e la destrutturazione organizzativa». Si spiegano così i grandi successi personali che durano una stagione (Renzi, Di Maio, ora Salvini). Inoltre, produce anche un abbassamento del livello qualitativo dei parlamentari e conseguente esaltazione del ruolo dei capi. (...)

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