Quei paesi che resistono
Andrea MereuM eana. Irgoli. Nule. Bortigiadas. I paesi stanno appesi a un destino lieve. La “paesitudine” del poeta Franco Arminio, omologo appenninico dell'uomo legato alla Barbagia, trasmette un senso di calore atavico che il mondo quotidiano ha relegato al fondo delle realtà desiderabili.
Come si vive nei piccoli paesini? È una domanda prosaica, lontana dalla mente di chi si occupa della gestione urbana nella cosa pubblica. È come consultare una rubrica polverosa a caccia dei vecchi numeri di casa che nessuno digita più dopo il gettone. Un paese è fatto anzitutto di passato. Un passato candido e immacolato testimone di quel genere di vita che a fatica si racconta ai giovani in procinto di scappare. Troppo largo il divario immaginario. Tutti i paesi, per definizione, sono di passaggio verso dove ci si reca con la riflessione intima. Sedini, Ussassai, Bidonì. Come un pensiero che attraversa la mente perdendosi nei rivoli del flusso di coscienza. L'effetto che ne viene è un florilegio di vita semplicissima che s'affaccia sulla via principale illuminata da coraggiose insegne.
Teti. Posada. C'è vita. Nonostante tutto. Chi dice che occorrano pretese a una vita lieve lontana dal trambusto? Ad esempio questa bella vita a Londra (dove io abito), è finta al modo di un'opera famosa, funziona esattamente come un piccolo comune a ridosso della città luminosa. Fatti minimali, sempre uguali nel consenso degli anonimi abitanti. Il lattaio all'alba suona il campanello lasciando le bottiglie sulla soglia. (...)
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