Vladimir Putin rischia di venire considerato una “vittima” e un bersaglio
Non paga la strategia dell’Europa di imporre sanzioni che, anzi, potrebbero avere l’effetto contrario a quello desiderato
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Il giorno 24 del mese di febbraio dell’anno 2022 rappresenta, nel suo momento dinamico, e nella sua gradata “escalation” di terrore, uno spartiacque storico che non mancherà di segnare le nostre esistenze anche per gli anni a venire. Il pur instabile (ma comunque apparentemente cristallizzato) equilibrio “freddo” venutosi a creare all’indomani del 1989 ha dovuto cedere dinanzi alla forza dirompente del disequilibrio “caldo”, oramai in continuo e costante divenire, perseguito con l’uso delle armi da parte di una potenza, quella russa, che il “possente” “Occidente” ha commesso l’errore di ritenere non solo sopita, ma addirittura “inadeguata” rispetto all’evolversi dei tempi.
Eppure, i missili russi sono arrivati in prossimità dell’Unione Europea e, come riportano le pagine dei maggiori quotidiani nazionali, l’ipotesi di un allargamento del conflitto sembra farsi sempre più probabile. Siamo ancora convinti che la politica delle sanzioni esemplari sia la strada utile per “imporre” il “cessate il fuoco”? Siamo davvero convinti che lo spettro di una condanna in danno di Vladimir di Putin, da parte del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, semmai dovesse intervenire, e sinceramente ne dubito, valga a scoraggiare il decisionismo tattico di colui che in molti si ostinano a chiamare incautamente “Zar”? Siamo davvero certi che l’impunità non costituisca l’epilogo a tutti noto, ma artatamente taciuto, che traccerà nel prossimo futuro i destini del mondo intero? Riesce particolarmente complesso cercare di mascherare un imbarazzo evidente: quello dei cosiddetti “giusti” (ammesso e non concesso che tale categoria possa corrispondere ad un preciso profilo definitorio), fin troppo affezionati al formalismo statico delle mura rassicuranti dei comodi salotti “radical chic” sempre meno utili, tuttavia, con il loro sinistrismo di maniera, e nel contesto della loro eleganza traviante, a giustificare l’incapacità sostanziale dei leader di incidere sulle vicende umane indirizzandone gli eventi. Se così non fosse, quale senso potrebbe mai avere l’invio di armi a un popolo, quello ucraino (visibilmente impreparato), contestualmente accompagnato dalla dichiarazione di voler restare neutrali rispetto a operazioni belliche decise e condotte da altri e con riferimento alle quali sarebbe stato necessario trovare la forza, e il coraggio, di intervenire “vis a vis” come sapienti e decisivi operatori di pace?
La risposta non può che rivelarsi nella sua consequenzialità: meglio atteggiarsi a sostenitori e promotori di riforme o cambiamenti politici e sociali appariscenti e velleitari piuttosto che arrendersi, agli occhi del mondo, per insipienza sostanziale. Meglio lanciare il sasso e nascondere la mano, meglio tapparsi il naso di fronte al sia pur comprensibile “pressione psicologica” di Volodymyr Zelens’kyj, il quale, nel corso dei suoi numerosi interventi, non ha mancato di “colpevolizzare” l’Occidente, e l’Europa in particolare, per il suo “mancato” interventismo. Malgrado la disarmonia e la disfunzionalità espressiva siano divenute la costante linguistica dell’intera vicenda bellica, si continua imperterriti a lasciarsi scoprire impreparati, e le azioni punitive poste in essere, auto-punitive prima ancora che decisive e deterrenti nei confronti dei destinatari, ne sono la cosiddetta “prova provata”. Il voler agire attraverso il Tribunale Penale Internazionale potrebbe quasi ridursi, nei suoi effetti pratici, a uno specchietto per le allodole laddove ci si soffermi a considerare che l’accertamento delle potenziali responsabilità di Vladimir Putin e dei suoi esecutori materiali potrebbe richiedere non solo un lasso di tempo lunghissimo, ma potrebbe addirittura esitare, verosimilmente, in un nulla di fatto, ossia nella assenza di incriminazioni formali e processi.
Intanto perché la Russia, tra le altre cose, anche a tutto voler concedere, non ha mai ratificato lo Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale e, di conseguenza, non ne ha mai accettato la giurisdizione. Quindi perché, considerata la superiore circostanza, la Russia è sciolta dall’obbligo legale di offrire la propria cooperazione alla Corte attraverso la eventuale “consegna” dei soggetti indagati affinché siano sottoposti a processo per “crimini di guerra”. Infine perché gli eventuali e potenziali responsabili non possono essere condannati “in absentia” e la Corte, dal canto suo, non dispone di un proprio organo di “polizia”. Parimenti, è chiaramente illusorio, e controproducente, continuare a ritenere che le sanzioni economiche già inflitte alla potenza russa possano costituire una valida alternativa alla guerra siccome la loro efficacia deterrente, come da più parti considerato, è piuttosto dubbia in considerazione dei precedenti storici recenti.
Detto altrimenti: le sanzioni, considerata la posizione cinese sullo specifico aspetto, potrebbero avere l’effetto boomerang di consolidare il regime di Putin con ogni immaginabile pregiudizio per le frange di popolazione (e non solo quella russa o ucraina) più povere del pianeta. Laddove non si fosse ancora capito, e davvero non è il caso di scomodare Lapalisse, il vero problema continua ad essere il divisionismo che serpeggia all’interno della comunità internazionale che, anche a tutto voler considerare, rappresenta la ragione prima e incontrovertibile dell’insicurezza e dell’instabilità, ulteriormente compromesse, l’una e l’altra, dall’incondizionato sostegno di Pechino a Mosca.
Intendiamoci: se da un punto di vista ideologico le sanzioni paiono costituire un valido strumento di persuasione utile a punire un certo Paese per indurlo, forzosamente ma non troppo, a mutare il proprio orientamento, tuttavia, da un punto di vista pratico, quello più importante, gli effetti quasi sempre finiscono con il tradire le aspettative per la incapacità di quello specifico strumento di incidere profondamente sui suoi diretti destinatari. La ragione è addirittura ovvia allorquando si consideri che quelle stesse sanzioni non hanno mai avuto la capacità di incidere sugli equilibri geopolitici mondiali inclini, piuttosto, a rispondere a sollecitazioni di altro tipo. Per questo la strategia poco accorta ed elementare del Vecchio Occidente, vistosamente in difficoltà, avrà l’effetto di rafforzare il profilo identitario e patriottico di Vladimir Putin, e di conseguenza avrà l’ulteriore effetto di consolidarne la politica interna offrendogli su un piatto d’argento la possibilità di giocare indisturbato sul piano della strategia, da sempre vincente per lui, tendente a identificarlo quale “vittima” costante e bersaglio privilegiato dell’occidentalismo stereotipato. Siamo in un “cul de sac”.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)