Lo scorso sabato, a Cagliari, e non solo, si è svolta la manifestazione “Una Piazza per l’Europa”, per rimarcare, tra l’altro, la contrarietà al riarmo proposto da Ursula Von der Leyen e la volontà di giungere finalmente alla Pace in forza della “difesa dei valori europei”. Sempre sabato 15 marzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, ha intrattenuto una conversazione telefonica con il Principe Ereditario e Primo Ministro dell’Arabia Saudita, Mohamed bin Salman al Saud, al fine di discutere, nel contesto di siffatto bilaterale (quindi, eventualmente, vincolante solo per i partecipanti), in ordine alle iniziative in corso e all’impegno condiviso per una pace giusta e duratura in Ucraina.

Starmer, dal canto suo, sempre con riferimento alla questione Ucraina, vorrebbe convocare la “coalizione dei volenterosi” rispetto alla quale il Paese Italia non sarebbe intenzionato ad inviare soldati. Ad emergere, parrebbe (il condizionale è doveroso) essere l’iniziativa dei singoli e la mancanza di un coordinamento comune e condiviso europeo facente riferimento ad un unico centro decisionale. E questo, con buona verosimiglianza, sembrerebbe il vero limite del Vecchio Continente che, per ciò stesso, potrebbe non disporre della forza negoziale necessaria ad imporre le sue determinazioni.

Probabilmente, quelli che sarebbero stati i termini della questione “Ucraina”, sembrerebbero essere emersi immediatamente, ossia, allorquando Donald Trump assumeva la determinazione di contattare il suo omologo russo, Vladimir Putin, omettendo in radice di cercare anche solo un coordinamento funzionale (di cortesia quanto meno) tanto con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky (di cui parrebbe aver palesato di non riconoscerne il ruolo politico a suo tempo assegnatogli, tramite elezioni, dai suoi connazionali) quanto, soprattutto, con gli “alleati” europei. A voler essere necessariamente concreti, in soldoni, Donald Trump, così facendo, per un verso, sembrerebbe (la formula dubitativa si impone) aver riconsegnato un ruolo centrale alla Russia, isolata sul piano diplomatico, politico ed economico dalla precedente amministrazione Biden e, quindi, di conseguenza, dalla stessa Unione Europea che aveva aderito alle determinazioni della stessa ridetta amministrazione condividendone le azioni e le misure, e, per altro verso, sembrerebbe aver definitivamente escluso, a priori, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, come pure gli aiuti militari, e quindi, ancora in soldoni, sembrerebbe aver determinato l’esclusione della stessa Unione Europea dal tavolo delle trattative per essere differenti, e forse proprio contrapposti, gli obiettivi da raggiungere.

Così inquadrata l’intera vicenda, piaccia o meno, un ruolo dell’Unione Europea, nell’intendimento del nuovo inquilino della Casa Bianca, non parrebbe contemplato e/o contemplabile. Non le Cancellerie del Vecchio Continente, convinte sostenitrici della visione politica dell’amministrazione Biden in relazione al conflitto russo ucraino, ma, allo stato, solo Vladimir Putin sembrerebbe potersi considerare quale suo unico interlocutore. Non a caso, sembrerebbe, stando alle notizie circolate, che tra Donald Trump e Vladimir Putin si terrà un colloquio per affrontare la questione di un cessate il fuoco. Se poi sia davvero possibile, nel volgere del breve periodo, dare vita ad un esercito comune europeo, è questione assai complessa e strettamente connessa all’attuale organizzazione strutturale della stessa Unione Europea la quale, al momento, è una unione politica ed economica a carattere sovranazionale composta da ventisette Stati Membri. Dicendolo diversamente, e per essere maggiormente chiari, l’Unione Europea presenta una struttura istituzionale e competenze che la pongono a metà strada, se così volessimo dire, tra uno Stato Federale e una Confederazione di Stati. Conseguendone che la stessa, specie in dottrina, viene definita alla stregua di una Organizzazione sui generis.

Questione non secondaria, quanto meno sul piano della politica interna dei singoli Paesi Membri, sembrerebbe poi essere quella inerente l’interesse specifico attuale al riarmo degli stessi singoli ventisette Paesi Membri: per difendersi da chi o cosa? Tanto più allorquando, nell’anno 2012 l’Unione Europea è stata insignita del Premio Nobel per la Pace.

Ad oggi, la situazione venutasi a delineare con l’amministrazione Trump, sembrerebbe lasciare pochissimo spazio (o forse alcuno) ad ogni anche solo potenziale potere negoziale dell’Unione Europea nella definizione del conflitto russo ucraino. L’Ucraina sembrerebbe trovarsi nella condizione di dover rinunciare alle conquiste della Russia sul campo di battaglia. Joe Biden (e con lui l’Unione Europea) aveva una impostazione precisa: quella di isolare diplomaticamente la Russia e quella, non meno importante, di coinvolgere gli ucraini in ogni decisione concernente qualsivoglia negoziato sul destino del loro Paese.

Donald Trump sembra aver cancellato siffatta determinazione nel momento stesso in cui parrebbe aver voluto ricercare il confronto sul futuro dell’intero conflitto direttamente con Vladimir Putin, ponendo in una situazione di secondarietà il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Forse, prima di pensare al riarmo o a una difesa comune, occorrerebbe riflettere sulla circostanza che il panorama geopolitico attuale potrebbe essere il punto di partenza per pensare alla costruzione delle basi per giungere alla costituzione degli “Stati Uniti d’Europa”, ossia di una formazione politica in cui i singoli Membri dovrebbero rinunciare alla propria sovranità nazionale per divenire parte integrante e consapevole di un’autentica Federazione Europea.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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