Tre parrebbero essere i punti chiave dell’inedito (se così lo si volesse definire) accordo tra il Governo e l’Unione Europea sulle rivisitate modalità di attuazione della Direttiva Bolkestein.

Intanto, e nonostante tutto, è prevista una estensione (per non volerla proprio definire proroga, anche se mutatis mutandis di tanto sembrerebbe forse trattarsi) delle concessioni in essere fino al mese di settembre dell’anno 2027 anche a prescindere dalle recenti e meno recenti pronunce dei Tribunali nazionali e sovra-nazionali interessati sulla impossibilità di procedere in quella direzione. Quindi, l’obbligo di avvio delle gare come normativamente previste dalla richiamata Direttiva Bolkestein entro il mese di giugno dello stesso anno 2027 con previsione di durata delle nuove concessioni da un minimo di cinque anni a un massimo di venti per consentire la ammortizzazione degli investimenti effettuati, e automatica assunzione, da parte del concessionario subentrante, di lavoratori impiegati nella precedente concessione, di modo tale da non far gravare sugli stessi ultimi il peso della precarietà. Infine, obbligo per chi subentra (probabilmente discutibile dal punto di vista dei soggetti onerati, e che quindi risulteranno legittimamente vincitori di una gara voluta proprio a tutela della concorrenza), di corrispondere un indennizzo ai concessionari uscenti. Dicendolo altrimenti: se da più parti si sia evidenziato che proprio la Bolkestein inibirebbe l’attribuzione di qualsivoglia vantaggio economico a favore del cosiddetto prestatore uscente, quale sarebbe la base normativa fondante di un onere di tal fatta che potrebbe pure contraddire lo stesso principio della concorrenza che la direttiva vorrebbe tutelare?

Ci si potrebbe domandare: siffatta previsione di indennizzo a carico del prestatore subentrante è costituzionalmente legittima in considerazione della ratio che sottende la Direttiva Bolkestein? Il dubbio non sembrerebbe probabilmente privo di fondamento laddove si voglia considerare che siffatta previsione, per un verso, potrebbe scoraggiare rispetto alla partecipazione stessa alla gara quanti avessero in animo di intraprendere una attività nello specifico settore, e per altro verso, e di conseguenza, potrebbe vanificare i principi ispiratori della direttiva facendo apparire quell’onere di indennizzo come un vantaggio senza causa a favore dei concessionari uscenti. Sembrerebbe, poi, che le amministrazioni che dovessero decidere di non usufruire della proroga ulteriormente concessa saranno gravate da un ulteriore obbligo, ossia, e niente meno, che quello di motivare la ragione per la quale, quella stessa amministrazione si sarebbe determinata nel senso di non usufruire della proroga medesima. Discrezionalità amministrativa non diversamente sindacabile anche da quanti dovessero non concordare con la mancata applicazione dell’estensione delle concessioni esistenti? Tutto risolto allora? Ci si potrebbe domandare. Forse si o forse no: magari semplicemente potrebbe dipendere. Potrebbe dipendere, probabilmente e in particolare, dall’angolazione burocratico-normativa dalla quale si potrebbe scegliere di considerare siffatto “aggiustamento” che, stando a quanto riportato dagli organi di stampa, sembrerebbe lasciare insoddisfatti gli attuali operatori di settore. Tanto più allorquando, il provvedimento in considerazione, invero, vada ad inserirsi nel corpo di un Decreto – Legge attraverso il quale, il Consiglio dei Ministri, ha voluto introdurre disposizioni urgenti per la soluzione di procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.

Fin qui, si potrebbe osservare, nulla quaestio. Forse appunto. Ma, probabilmente, non troppo. Se solo si voglia considerare, tra l’altro, che tra i criteri di valutazione delle offerte, potrebbe pure essere tenuto nel conto quello specifico dell’essere stato titolare, nei cinque anni precedenti, di una concessione balneare quale prevalente fonte di reddito per sè e per il proprio nucleo familiare. Insomma, il malcontento parrebbe ancora attraversare il settore di specifico riferimento che, con buona verosimiglianza, avrebbe preferito una esclusione in radice di quello stesso settore dal perimetro normativo dettato dalla Direttiva della “discordia”, per così dire. Tempo al tempo dunque.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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