Vladimir Putin, grazie soprattutto ad una riforma costituzionale attuata nel 2020, la quale aveva annullato il limite di due mandati consecutivi, si conferma alla Presidenza della Federazione Russa per un rinnovato mandato consecutivo, ossia, a conti fatti, fino all’anno 2030. Ed ancora, sempre in forza della richiamata riforma costituzionale, potrà addirittura candidarsi a un ulteriore mandato financo nell’anno 2030, restando quindi in carica, se gli esiti dovessero premiarlo, fino all’anno 2036. Ebbene. Al di là di ogni valutazione sul risultato di queste ultime urne, per restare ancorati al presente, a porsi come interrogativo rilevante, parrebbe essere quello riconnesso agli effetti diretti ed immediati che la vittoria del Presidente uscente potrebbe avere sul piano geopolitico generale e, in particolare, sugli attuali rapporti di forza con l’Occidente e, sotto un differente profilo, con la Cina di Xi-Jin Ping e con l’India con le quali la Russia intrattiene rapporti di collaborazione.

Dicendolo altrimenti e più chiaramente: Vladimir Putin esce rinvigorito da queste Presidenziali oppure, invece, e paradossalmente, maggiormente indebolito? La risposta, chiaramente, rischia di riflettere il differente punto di osservazione della vicenda, siccome, il dato empirico, di per sé stesso considerato nella sua consistenza, rifletterebbe una sola circostanza, ossia quella per cui la percentuale dei votanti, invero elevatissima, pare di fatto aver confermato il proprio gradimento in relazione alla conduzione politica e militare del Paese da parte del Presidente uscente. E ciò di cui lo stesso Vladimir Putin parrebbe aver bisogno in questo preciso momento storico, pare essere proprio la “stabilità interna”, la quale, sembrerebbe essere stata fino ad oggi fondata sulla apparente capacità del leader di offrire opportune rassicurazioni a quella parte del Popolo russo, numerosissima, che il “disordine” generale creato dalla globalizzazione, con le repentine trasformazioni sociali che la medesima aveva ingenerato, aveva in qualche maniera destabilizzato.

La circostanza appare tutt’altro che di scarsa rilevanza considerate le dimensioni geografiche del Paese. Se Michail Gorbaciov, ultimo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, agognava di realizzare il sogno, poi mai realizzato, del “socialismo umanitario”, con la successiva disgregazione dell’Urss, Vladimir Putin, ossia il presidente russo, eletto per la prima volta nel 2000, aveva, e probabilmente ancora ha, politicamente “capitalizzato”, se così si può dire, quel sentimento di originario disorientamento del proprio Popolo siccome, quanto meno in apparenza, egli parrebbe essere stato capace di conferire agli eventi riconducibili all’epoca degli anni Novanta, una lettura politica originale ed innovativa, attraverso una proposta in ipotesi percepita come idonea a rinvigorire taluni tratti identitari sopravvissuti dal periodo sovietico strettamente inteso e ancora diffusi tra la popolazione russa.

Resterebbe il fatto, che il “putinismo” si pone come un regime politico illiberale e non pare esistere un effettivo stato di diritto oggi in Russia. Andando oltre ogni considerazione inerente fatti interni alla Federazione Russa, e riconducendo i termini del discorso al significato che la persistenza di Vladimir Putin alla Presidenza comporta, a venire in rilievo pare essere la circostanza che egli sembrerebbe restare anche all’attualità, l’unico contraddittore, nel frangente, in ordine a questioni internazionali di stretta rilevanza, ossia quelle direttamente afferenti i conflitti in corso.

Il ristabilimento della pace in Europa si presenta ancora oggi come un processo lungo e complesso, difficilmente conciliabile con gli obiettivi geopolitici della Russia di Putin. In questo senso, la sua riconferma quale Presidente della Federazione Russa potrebbe rendere molto più laborioso rinvenire accordi di intermediazione paritari inter partes, siccome la progressiva “de-escalation” del conflitto, invero, potrebbe essere basata solo su potenziali vantaggi reciproci tra i contendenti che consentirebbero probabilmente una tregua comunque fragile, ma probabilmente idonea, con buona verosimiglianza, a far cessare l’emergenza sul piano umanitario riconnessa al conflitto in corso oggi in Ucraina.

Appare difficile prevedere cosa accadrà nel futuro prossimo anche perché molto potrebbe dipendere dagli esiti delle Presidenziali americane stante la differente visione politica internazionale tra i due maggiori competitor, ossia Biden e Trump. L’Europa, nel contesto, appare, perlomeno tale sembrerebbe la sensazione che potrebbe ritrarsene, largamente indebolita per non essere riuscita a ritagliarsi un ruolo di preminenza sul piano diplomatico che potesse renderla protagonista e perno imprescindibile di un autentico percorso di pace.

Alla attualità solo la diplomazia, correttamente ed efficacemente esercitata, può contribuire a ristabilire efficaci equilibri che, lungi dal potersi considerare solo in termini di regolamentazione dei conflitti, appaiono del tutto idonei pure a regolamentare le questioni di carattere economico, non ultime in un periodo storico, quale quello attuale, particolarmente complesso per le popolazioni tutte.

A ben considerare, l’esito di queste urne in Russia pare aver confermato lo status quo ante sul piano internazionale, mentre sul piano interno parrebbe aver rinvigorito il potere di Vladimir Putin confermandolo alla guida della Federazione. Allo stato, l’uso sapiente dei canali diplomatici sembrerebbe restare l’unica via per raggiungere la pace come pure la conclusione dei conflitti in essere. E l’Europa dovrebbe porsi in prima linea nel favorire la pace ristabilendo l’ordine internazionale.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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