Nella giornata odierna, nella cornice del Campidoglio di Washington, si terrà la cerimonia di contestuale chiusura del mandato presidenziale di Joe Biden e di inizio di Donald Trump. Si terrà, in buona sostanza, quella che comunemente viene definita inaugurazione, ossia, più precisamente, la cerimonia formale che segna la fine del mandato di un presidente, quello uscente, e l’avvio della nuova amministrazione di Colui che si avvicenderà nella carica.

Non dovrebbe incorrersi in errore allorquando si sostenga che sembra trattarsi, a tutti gli effetti, del momento maggiormente significativo della transizione di potere, in sé e per sé considerata, tra i leader di governo a Washington. Ed infatti, pur essendo risultato vincitore delle elezioni già dal mese di novembre, di fatto, Donald Trump, sarà ufficialmente il quarantasettesimo Presidente solo dal momento in cui andrà a pronunciare le parole di giuramento.

Non è un mistero per alcuno che Donald Trump si appresta ad affrontare il suo secondo mandato siccome, già nel recente passato, si era caratterizzato per essere il quarantacinquesimo Presidente negli anni tra il 2017 e il 2021. Allo stesso modo, pure J.D. Vance, scelto quale vice, dovrà prestare il giuramento per assumere formalmente la carica conferitagli. Nulla quaestio. Tanto più allorquando la questione sembrerebbe rivestire un carattere prettamente interno. Eppure negli ultimi giorni, stante pure la rilevanza che l’evento può assumere a livello geopolitico generale, della circostanza si è parlato moltissimo, e forse anche perché, sembrerebbe, stando a quanto annunciato dagli organi di stampa, la nostra Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà alla cerimonia di insediamento del Presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, laddove, invece, nessun invito avrebbe ricevuto la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e con lei, neppure Keir Starmer, Olaf Scholz, Mette Frederiksen e Justin Trudeau, ossia i capi di governo, rispettivamente, britannico, tedesco, danese e canadese, tutti espressione dello schieramento dei socialdemocratici o, comunque, di centro-sinistra.

Tra i grandi assenti, sembrerebbero poi spiccare la già First Lady, Michelle Obama, la quale avrebbe comunicato che non sarebbe stata presente in Campidoglio al fianco del marito Barack Obama, il Presidente Cinese Xi-Ji-Ping, al posto del quale per la Cina sarà presente il vicepresidente Han Zheng, come pure il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán che parrebbe, anch’egli, non aver ricevuto alcun invito. Tra gli altri ospiti presenti, invece, rilevano Elon Musk, che pare ricoprirà un incarico nella nuova amministrazione di Donald Trump, ma anche il Ceo di Meta, Mark Zuckerberg, e il fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Nulla quaestio, dunque. L’insediamento sembrerebbe porsi come questione puramente interna. Ma probabilmente proprio per questo, ossia per il peso politico ed istituzionale dei grandi leader europei assenti, la presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, potrebbe aver dato seguito ad un dibattito sulla opportunità o meno di parteciparvi. Tanto più, per l’appunto, allorquando altri grandi leader europei, e la stessa Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, parrebbero non aver ricevuto analogo trattamento. E ancor di più allorquando, Giorgia Meloni, sia Presidente del Consiglio di un Paese dell’Eurozona. Tra pragmatismo ed esigenza di conservazione del dialogo, tra atlantismo ed europeismo, sembrerebbe allora collocarsi una questione il cui divenire può andare incontro a molteplici evenienze. Tanti sembrerebbero piuttosto convinti nel ritenere che con Donald Trump alla Casa Bianca, potrebbe concludersi la fase atlantista (avviata nel 1949 con la firma del Patto Atlantico) concretantesi in un graduale disimpegno degli Stati Uniti d’America dall’Europa e dal Mediterraneo in generale. Circostanza, quest’ultima, che forse, tenendo un ragionamento profano e probabilmente ingenuo, potrebbe indurre un interrogativo più profondo, ossia quello relativo al “cosa” potrebbe essere di fatto cambiato rispetto ad un’epoca in cui gli Stati Uniti avevano ampiamente caldeggiato l’alleanza con l’Europa Occidentale quale linea di mezzo tra due Mondi.

Lo scacchiere europeo può veramente aver perduto il suo carattere attrattivo? Se si, se no, sarà l’evolversi dei tempi a certificarlo. Ma, al di là di ogni ulteriore ragionamento, probabilmente nel gioco delle forze in campo, ad oggi all’Europa cosiddetta Continentale, che dovrebbe presentarsi come unitaria negli intenti, sembrerebbe imporsi un immediato cambio di passo finalizzato a ritagliare al Vecchio Continente uno spazio proprio tale da poter garantire una posizione di valido contrappeso tra l’America e il Medio Oriente. Non tanto perché l’atlantismo come si era abituati ad intenderlo sia finito, ma perché probabilmente, dal 1949 ad oggi può essere ampiamente mutato, richiedendo di essere reinterpretato alla luce dei mutamenti geopolitici nel frattempo intercorsi che parrebbero richiedere un certo equilibrio di forze tra quanti ne fossero espressione, Unione Europea compresa. Intanto, e probabilmente, perché l’Unione Europa, dovrebbe affermare la propria pregnanza facendo valere la propria autonomia rispetto agli Stati Uniti.

Quindi, perché, probabilmente, dovrebbe sviluppare la capacità di farlo, ponendosi non in una posizione di contrapposizione tout-court, quanto piuttosto di contraddittore forte sulla bilancia degli interessi di volta in volta in trattazione. Inoltre, perché, e di conseguenza, sarebbe forse utile sul piano strategico, ampliare, diversificandoli, l’ambito dei rapporti internazionali. Ancora, perché dovrebbe poter vantare una propria politica di sicurezza e di difesa. Infine, perché nel contesto di quelle che potrebbero presentarsi quali dinamiche future, la coesione tra i vari leader europei, espressione nel loro complesso dell’Unione Europea, dovrebbe riflettersi nella unità pur nella conservazione della diversità ideologica.

Giuseppina Di Salvatore - Avvocato, Nuoro

© Riproduzione riservata