Il 10 aprile il Parlamento Europeo ha approvato il Nuovo Patto di Migrazione e Asilo con il supporto di trecento e uno voti favorevoli, duecento sessantanove contrari e cinquantuno astenuti. La rinnovata normativa prevede un meccanismo di cosiddetta “solidarietà obbligatoria” che dovrebbe, in buona sostanza, impegnare tutti quei Paesi, diversi da quelli di primo approdo, a farsi parte attiva nell’accoglimento di taluni migranti, e/o nel fornire loro il sostegno economico occorrendo. Ferma restando, pur tuttavia, la circostanza per cui la gestione della domanda di asilo resterebbe comunque affidata al Paese di primo arrivo.

Se tale, e di tale consistenza, si pone la nuova disciplina, allora, e probabilmente, troppo nuova non sembra. Intanto, perché, mutatis mutandis, e come da più parti prontamente rilevato, l’intesa raggiunta non va in alcun modo oltre il contestatissimo sistema di Dublino. Quindi, e di conseguenza, perché, anche a tutto voler considerare e concedere, lungi dal favorire la posizione dei Paesi di cosiddetto primo approdo, le nuove regole sembrano piuttosto dirette ad impedire il fenomeno dello spostamento secondario, ossia della “migrazione” dal Paese di primo approdo a quelli altri del continente europeo nella sua interezza. Infine, perché le nuove regole paiono ricondurre verso i singoli Stati Membri le responsabilità legate alla gestione delle migrazioni spogliandosi quasi del principio della europeizzazione del fenomeno, se così si possa dire.

Probabilmente nulla cambierà davvero, ma, all’inverso, si conferisce maggior vigore al principio che elegge il cosiddetto “primo approdo” a regola aurea del sistema. Se l’idea di fondo era quella di creare un equilibrio paritario tra il principio di cosiddetta auto-responsabilità gravante in forza dell’Accordo di Dublino sui Paesi qualificati di “primo approdo”, e quello più ampio di solidarietà gravante sui restanti Paesi Membri, allora, con buona approssimazione, l’Eurocamera avrebbe dovuto riempire in maniera precisa e puntuale i contenuti sostanziali di quegli obblighi onde evitare defezioni ingenerate da questioni in vario modo interpretative della regola generale da parte dei Singoli. Dicendolo altrimenti, e più semplicemente, non è necessario scomodare Lapalisse per arrivare a comprendere che gli Stati di Frontiera, e tra essi l’Italia, pur con l’introduzione delle nuove regole, continueranno ad essere fortemente gravati da ogni e qualsivoglia onere di controllo e di gestione in assenza, probabilmente, di garanzia di effettivo ricollocamento dei migranti per tutto il territorio europeo essendo, siffatto “passaggio”, inevitabilmente dipendente dalla attuazione effettiva delle nuove norme e dalle modalità concrete della attuazione medesima. Riusciranno, nel termine di due anni, i Paesi Membri a trovare la cosiddetta quadra? La vera Riforma, per dirla chiaramente, avrebbe dovuto condurre, all’unanimità, alla cancellazione delle regole poste a fondamento dell’Accordo di Dublino. Avrebbe dovuto porre al centro la Persona, e i suoi diritti fondamentali. Avrebbe dovuto avere, quale caposaldo ispiratore, il principio dell'accoglienza in tutte le sue articolazioni. Allo stato, e diversamente da quanto ritengono i sostenitori del Nuovo Patto per le Migrazioni, il Parlamento Europeo, piuttosto che vedere implementato il ruolo effettivo dell'Unione nel portare avanti politiche di effettiva regolamentazione di tutte le forme di migrazione irregolare al fine di ampliare l’accoglienza, sembra piuttosto aver voluto riformare il sistema europeo rafforzando i meccanismi di protezione delle frontiere esterne dell'Unione Europea medesima.

Anni orsono, correva l’anno 2013, ai tempi del Governo Letta, si discusse moltissimo della Riforma ulteriore del Regolamento di Dublino, e si auspicava il raggiungimento di un accordo che conducesse ad una sorta di “Dublino IV” cui, tuttavia mai si arrivò stanti le posizioni inconciliabili dei diversi Paesi Membri. Probabilmente, ancora ad oggi, da lì si sarebbe dovuto ripartire, siccome, a ben considerare, già “Dublino III”, a carico degli Stati Membri, poneva obblighi di solidarietà che andavano dalla redistribuzione dei migranti al finanziamento dei Paesi di primo approdo e che non si sono contraddistinti per il loro carattere risolutivo. Non ci resta allora che attendere l’evoluzione, in termini pratici, del Nuovo Patto sulle Migrazioni.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata