"L’accoglienza è qualcosa che deve esser praticata, non si fa con le parole. È fatta di piatti di riso, sostegno: è seguire passo passo una persona, diventare grandi, esserci sempre. C'è un problema? Lo risolviamo". Sono trascorsi 25 anni dagli orrori del genocidio in Ruanda, ma c'è chi non dimentica quanto fatto nel 1994 dal 7 aprile a fine luglio.

Sorella Francesca Contu, dell'Ispettorato di Cagliari, era lì e la Croce Rossa Italiana ricorda il dramma. "Ogni settimana arrivavano sempre più feriti - racconta la sarda -. La prima volta che mi sono resa conto con i miei occhi dell’orrore che aveva sconvolto il Paese è stato quando mi hanno portato il primo bambino da medicare. Era in braccio alla nonna. Aveva un segno sulla testa, un taglio netto a forma di y. Io lo osservavo e guardavo la donna che mi sorrideva. Lui invece piangeva disperato".

IL PRIMO GIORNO IN RUANDA - Un'esperienza che l'ha segnata per tutta la vita, fin dagli inizi: "Il cielo era grigio. Passando la frontiera ho avuto la sensazione di aver attraversato come una porta del tempo. Il confine era delimitato da una sbarra di legno e subito dall’altra parte, in un gabbiotto di fortuna, dei ragazzi giovanissimi, tutti rigorosamente armati. Il luogo dove stavamo andando era molto lontano e per raggiungerlo percorremmo una interminabile strada sterrata. Intorno a noi solo buio e per tutto il tragitto non un’anima viva".

IN OSPEDALE - Luoghi terribili in cui Francesca, assieme ai suoi colleghi, ha fatto tanto: "Io nel mio ospedale avevo dipinto una parete di bianco e con dei chiodini ogni giorno attaccavo i messaggi che loro mi lasciavano, relativi a persone scomparse nella mia zona. Avevo assoldato un uomo, ferito gravemente, che tutte le mattine aveva il compito di leggere ad alta voce tutti i biglietti alle persone che aspettavano di essere medicati. L’elenco era molto lungo ma abbiamo ritrovato tantissime persone. Una cosa stupenda di cui sono molto fiera".

In quegli anni 800mila ruandesi sono stati massacrati a colpi di machete, bastoni chiodati, asce, coltelli e armi da fuoco. Lo sterminio è stato scatenato dall'odio etnico tra Hutu e Tutsi, che la comunità internazionale non è stata in grado di fermare in tempo.

(Unioneonline/M)
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