«No, non ho paura. L’adrenalina: quella sì, la sento. Ma se mi facessi prendere dal panico sarei finito, non riuscirei a lavorare». Andrea Filigheddu parla come un veterano ma ha appena 25 anni, compiuti ieri sotto le bombe di Kiev. Aveva un sogno, l’ha realizzato: diventare fotoreporter.

L’immagine più cruda della guerra, circolata sui giornali e sui siti di informazione in questi giorni, porta la sua firma. La famiglia sterminata dai colpi di mortaio a Irpin, mentre era in fuga dall’orrore: padre, madre, due figli con lo zaino in spalla. I cadaveri in mezzo alla strada, coperti da tovaglie e lenzuola, e il trolley senza più un padrone. Filigheddu, gallurese di Arzachena, è arrivato in Ucraina insieme a Claudio Locatelli, giornalista freelance esperto di conflitti internazionali.

La sua foto ha fatto il giro del mondo, come è nata?

«Abbiamo ricevuto la notizia di un attacco russo che aveva coinvolto alcuni civili a Irpin, a poca distanza da Kiev. Dopo nemmeno un’ora eravamo lì e ci siamo trovati di fronte a quella scena terribile».

Quando siete partiti per l’Ucraina?

«Ci stavamo organizzando da tempo. Il 24 febbraio all’alba è scattato il primo attacco russo: abbiamo caricato l’auto e siamo partiti dall’Italia. È stata una mossa azzeccata: avere una macchina a disposizione ci consente di muoverci rapidamente».

Come si svolge la vostra giornata?

«Cerchiamo di programmare i servizi dalla sera prima, se riceviamo qualche notizia o ci suggeriscono storie interessanti. Ci muoviamo di mattina presto. Siamo stati tre giorni a Irpin. Ora invece vogliamo andare a cercare due aerei russi abbattuti vicino a Kiev».

Quanti siete?

«Oltre a Locatelli, con cui ho già lavorato in Armenia in uno scenario di guerra, ci muoviamo in squadra con altri giornalisti, sia italiani che greci».

Un gruppo di soldati soccorre un ferito (L'Unione Sarda)
Un gruppo di soldati soccorre un ferito (L'Unione Sarda)
Un gruppo di soldati soccorre un ferito (L'Unione Sarda)

Qualche anno fa avrebbe mai pensato di potersi ritrovare a Kiev a fotografare l’orrore della guerra?

«No, non l’avrei mai detto. Conoscevo l’Ucraina, ma non avevo in programma di venire qui per questo motivo. Io ho studiato fotografia allo Ied di Milano: è l’università che mi ha aiutato a scoprire un mondo diverso, prima facevo foto e video di paesaggi, soprattutto in Sardegna».

Le sue radici sono in Gallura.

«La mia famiglia gestisce due hotel, un agriturismo e un bar. Io lavoro in albergo con i miei genitori, come mio fratello: sarò con loro anche questa estate, ho dato la mia parola».

Loro come vivono questa sua missione?

«Sono preoccupati, ma sanno che è quello che mi piace. Dopo che la mia foto ha fatto il giro del mondo sono anche abbastanza orgogliosi di quello che sono riuscito a fare».

Fotografare morte e distruzione non è facile. Come si fa a sopportare certe immagini?

«Spesso al momento dello scatto non abbiamo tempo di pensare: faccio le foto mentre nelle vicinanze sono in corso i bombardamenti. Poi quando torno in hotel guardo lo schermo della mia Canon e realizzo tutto. Quella famiglia sterminata aveva attraversato l’intera città, erano a un passo dalla salvezza, la loro vita invece è finita lì sull’asfalto».

Andrea Filigheddu (L'Unione Sarda)
Andrea Filigheddu (L'Unione Sarda)
Andrea Filigheddu (L'Unione Sarda)

La foto preferita tra quelle scattate in Ucraina.

«Quelle del ponte crollato, è un simbolo: sembra che sia stato abbattuto parzialmente dai russi, poi gli ucraini hanno finito il lavoro per limitare i punti di accesso alla città. C’era la gente che abbandonava le auto per attraversare il fiume a piedi. L’esercito di Mosca si sta avvicinando».

Quanto rimarrà a Kiev?

«Il più possibile, per documentare quello che sta succedendo. Spero che venga lasciato un corridoio umanitario per fuggire verso Sud. Quando arriveranno i russi andremo via: viste le ultime leggi firmate da Putin contro i giornalisti, non mi sento molto al sicuro».

Michele Ruffi

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