Tra le accuse contenute nelle 45 pagine di incriminazione per l’assalto al Congresso americano del 6 gennaio di due anni fa c’è anche quella per cui «nonostante avesse perso», Donald Trump era «determinato a restare al potere. E così per più di due mesi dopo le elezioni del 3 novembre 2020 ha diffuso bugie» sul fatto che il risultato del voto era frutto di frode e che lui «aveva vinto. Affermazioni false, che sapeva essere false» ma che ha «ripetuto e disseminato» per farle apparire «legittime e creare un'atmosfera di sfiducia e rabbia».

Le accuse sono state formulate dal procuratore speciale Jack Smith.

L’ex presidente Usa «aveva il diritto, come ogni americano, di parlare pubblicamente delle elezioni e anche falsamente affermare che erano state determinate da frodi. Era anche autorizzato a chiedere verifiche sui risultati tramite modalità legali e appropriate - si legge nella seconda pagina dell'incriminazione -. I suoi sforzi di cambiare il risultato del voto in ogni Stato tramite il riconteggio non hanno avuto successo».

Trump ha cercato di convincere il suo vicepresidente «a usare il suo ruolo cerimoniale per la certificazione del voto, per alterare il risultato delle elezione»: quando questi tentativi sono falliti, ha cercato di «usare la folla dei suoi sostenitori radunata a Washington per fare pressione sul vicepresidente affinché alterasse in modo fraudolento i risultati elettorali», prosegue l'incriminazione a pagina 32. Trump è quindi accusato di aver usato la violenza e il caos dell'assalto a Capitol Hill. «Ha rifiutato ripetutamente di approvare un messaggio diretto ai rivoltosi» per chiedere loro di lasciare il Congresso americano. Invece di procedere come chiedevano i suoi collaboratori, il tycoon ha «postato due tweet in cui non chiedeva ai rivoltosi di lasciare Capitol Hill ma suggeriva falsamente che la folla era pacifica».

(Unioneonline/s.s.)

© Riproduzione riservata