Salvuccio Riina choc: «Io come i bimbi di Gaza. Mio padre ha combattuto il sistema»
«Non ha fatto uccidere il piccolo Di Matteo né Giovanni Falcone, arrestato perché dava fastidio», l’intervista al figlio del sanguinario boss di CorleoneSalvuccio Riina
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Si paragona ai bambini di Gaza e definisce il padre come un uomo che ha combattuto il sistema, arrestato perché «dava fastidio» ai potenti.
Torna a parlare Giuseppe Salvatore Riina, detto Salvuccio, figlio del boss Totò. Lui, che a differenza del padre ama stare sotto i riflettori, non è nuovo a provocazioni, vere e proprie riscritture della storia e dichiarazioni volte a mitizzare la figura del sanguinario capomafia.
Riina, che è stato condannato a otto anni per mafia ed è poi ritornato nella sua città natale, ha rilasciato un’intervista Lo Sperone Podcast.
«Come i piccoli palestinesi da bimbo ho vissuto sempre come se fossi in perenne emergenza», ha raccontato. «Ma quando dovevamo scappare da un rifugio all'altro con papà, per me era come una festa perché conoscevo posti nuovi e gente nuova. Sono pure nato nella clinica Noto, la più famosa di Palermo, col nome e cognome di mio padre. E tutti lo sapevano».
Riscrive la storia, Salvuccio Riina: «Mio padre non ha mai ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo». Giovanni Falcone? «Quando l'hanno ammazzato, non dava più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte».
Un attacco all’antimafia, «carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori e a dimostrarlo sono i casi della giudice Silvana Saguto e dell'imprenditore Antonello Montante, finti e antimafiosi di facciata».
Il ritratto del padre è simile a quello di un santo: «Un uomo con la U maiuscola, che ha sempre combattuto il sistema. Un uomo serio e onesto, che manteneva la parola data e pensava alla sua famiglia. Non l’ho mai visto compiere un atto di violenza o tornare a casa con una pistola in mano e sporco di sangue».
Totò Riina «è stato arrestato perché dava fastidio, così come a un certo punto hanno dato fastidio Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, perché erano malati e non servivano più in quello stato a quelli che detenevano veramente il denaro della mafia».
(Unioneonline/L)