Erano amici da vent'anni, Gianfranco e Luigi, due imprenditori milanesi nel settore farmaceutico, eppure il primo, Gianfranco Bona, di 50 anni, trasportatore di medicinali all'ingrosso, per non pagare un debito di 270 mila euro al secondo non ha esitato ad avvelenarlo. L'uomo, Luigi Fontana, un farmacista di 62 anni, ora è in fin di vita all'ospedale. L'altro, subito scoperto dalla polizia, ha confessato adducendo di aver perso la testa dopo essersi reso conto che non sarebbe "mai riuscito a saldare il debito".

Il farmacista, lunedì scorso, è letteralmente caduto in una trappola, 'tradito' da un invito a prendere un aperitivo. Una cosa che i due facevano spesso: ma questa volta nel bicchiere del dottore era stata versata una massiccia dose di cianuro, dieci volte più alta di quella sopportabile dall'organismo umano. Subito dopo aver bevuto, quindi, Fontana è stato colto da un malore davanti allo stesso Bona e ad altri dipendenti e conoscenti, nella rivendita di via delle Forze Armate, nella periferia sud-ovest della città. Si è accasciato al suolo, ha perso i sensi e non li ha mai ripresi. Ora si trova ricoverato in coma profondo alla clinica Città Studi, in fin di vita. Nella confessione resa al pm Paolo Nocerino, Bona - che domani sarà interrogato dal gip Elisabetta Meyer, che deve decidere sulla convalida dell'arresto e sulla richiesta di custodia cautelare in carcere fatta dal pm - ha detto di aver portato un Crodino e due caffè su un vassoio, dal bar a fianco fino alla farmacia, approfittando di quel tragitto per inserire la dose di veleno. La sostanza, sulla quale sono ancora in corso accertamenti, gliel'aveva procurata un mese fa lo stesso amico dottore, quando gli aveva detto di dover "eliminare delle nutrie" vicino a casa sua. La difesa dell'uomo invece sostiene che avrebbe "perso la testa", e che l'avvelenamento sarebbe stato una follia decisa lì per lì, sul momento. Dopo le prime analisi, lunedì sera stesso, i medici si sono accorti del cianuro nel sangue. La notizia è stata tenuta riservata mentre gli investigatori cominciavano a interrogare le persone presenti a quell'aperitivo. E la loro attenzione si è concentrata su Bona e sulla sua situazione economica. L'uomo, negli ultimi cinque anni, aveva acquistato partecipazioni societarie nel settore farmaceutico, affari che però erano andati male facendolo completamente fallire. Allora aveva chiesto aiuto all'amico, con cui lavorava da vent'anni, che gli aveva prestato dei soldi a più riprese. Alcuni di questi debiti erano stati saldati, ma alla fine il cumulo era arrivato a 270 mila euro. Quando la disperazione lo ha colto, ha chiesto la sostanza al farmacista, con la scusa dei topi, ma con l'intenzione, a suo dire, di togliersi la vita. All'ultimo momento, però, ha deciso che era meglio che a morire fosse l'amico e creditore.
© Riproduzione riservata