A Padova è il giorno del dolore per l’ultimo saluto a Giulia Cecchettin, la giovane uccisa dall’ex fidanzato, Filippo Turetta.

La bara bianca, coperta di rose bianche, è stata accolta dall'applauso sommesso delle migliaia di persone presenti sul sagrato della basilica di Santa Giustina su cui campeggia la gigantografia che mostra la studentessa 22enne, seduta su un’altalena verde con tulle e fiori, e la scritta "Giulia ti vogliamo bene". Dietro al feretro papà Gino Cecchettin, i fratelli Elena e Davide, la nonna e gli zii di Giulia. Tutti i familiari indossano un fiocco rosso contro la violenza di genere. 

Grande la commozione per tutta la durata della cerimonia. Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, è rimasta sempre stretta a papà Gino, quasi aggrappata al suo braccio, con il capo appoggiato alla spalla e gli occhi socchiusi. A fianco il fratello Davide, 17enne, il volto tirato e lo sguardo fisso sull'altare.

Già dalle 8.30 sono arrivate le persone accreditate al varco di polizia. All'interno della Basilica c’era posto per poco meno di 1.200 partecipanti, per tutti gli altri sono stati allestiti due maxischermi all'esterno, uno sul lato destro del sagrato, e l'altro rivolto verso Prato della Valle e l'isola Memmia, la zona centrale della piazza.

È stata Giulia Zecchin, 22 anni, migliore amica di Giulia Cecchettin, a leggere la prima lettura. La famiglia ha scelto un passo dal libro del profeta Isaia. «Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto - recita l'incipit - germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore».

L’OMELIA – «Il sorriso di Giulia mancherà al papà Gino, alla sorella Elena e al fratello Davide e a tutta la sua famiglia; mancherà agli amici ma anche a tutti noi perché il suo viso ci è divenuto caro», le parole del vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, nell'omelia. «Custodiamo la sua voglia di vivere, le sue progettualità, le sue passioni. Le accogliamo in noi come quel germoglio di cui parla il profeta. Perché desideriamo insieme attendere la fioritura del mondo nel quale finalmente anche i nostri occhi saranno beati», ha sottolineato il vescovo.

«Non avremmo voluto vedere quello che i nostri occhi hanno visto né avremmo voluto ascoltare quello che abbiamo appreso nella tarda mattinata di sabato 18 novembre. Per sette lunghi giorni abbiamo atteso, desiderato e sperato di vedere e sentire cose diverse. Ed invece ora siamo qui, in molti, con gli occhi, anche quelli del cuore, pieni di lacrime e con gli orecchi bisognosi di essere dischiusi ad un ascolto nuovo», ha detto ancora il vescovo di Padova, affermando che servono ora «parole e gesti di sapienza che ci aiutino a non restare intrappolati dall'immane tragedia che si è consumata, per ritrovare anche solo un piccolo spiraglio di luce».

«La conclusione di questa storia – ha proseguito – lascia in noi amarezza, tristezza, a tratti anche rabbia ma quanto abbiamo vissuto ha reso evidente anche il desiderio di trasformare il dolore in impegno per l'edificazione di una società e un mondo migliori, che abbiano al centro il rispetto della persona (donna o uomo che sia) e la salvaguardia dei diritti fondamentali di ciascuno, specie quello alla libera e responsabile definizione del proprio progetto di vita. Questo impegno è indispensabile non solo per garantire qualità di vita al singolo individuo ma anche per realizzare quei contesti sociali e quelle reti in cui le persone siano valorizzate in quanto soggetti in grado di dare un contributo originale e creativo».

LA PREGHIERA PER TURETTA – Nel giorno del dolore il vescovo di Padova rivolge un pensiero anche a Filippo Turetta, reo confesso: «Chiediamo la pace del cuore anche per Filippo e la sua famiglia», ha scandito. «Il nostro cuore cerca tenerezza, comprensione, affetto, amore. La pace del cuore è pace con se stessi, con il proprio corpo, con la propria psiche, con i propri sentimenti, soprattutto quelli che riguardano il senso delle azioni che compiamo e il senso della vita».

«Insegnaci, Signore, la pace tra generi, tra maschio e femmina, tra uomo e donna. Vogliamo imparare l'amore e vivere nel rispetto reciproco, cercando anzi il bene dell'altro nel dono di noi stessi. Non possiamo più consentire atti di sopraffazione e di abuso; per questo abbiamo bisogno di concorrere per riuscire a trasformare quella cultura che li rende possibili», è l'appello del vescovo risuonato nella basilica di Santa Giustina. Poi si è rivolto ai giovani: «Forse voi giovani potete osare di più rispetto al passato: avete a disposizione le università e gli studi, avete possibilità di incontri e confronti a livello internazionale, avete più opportunità e benessere rispetto a 50 anni fa. Nella libertà potete amare meglio e di più: questa è la vostra vocazione e questa può e deve diventare la vostra felicità!».

L’INTERVENTO DEL PADRE – «Che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme contro la violenza, che la sua morte sia la spinta per cambiare», è l'auspicio di Gino Cecchettin, la voce rotta dall’emozione: «Mia figlia Giulia era proprio come l'avete conosciuta, una giovane donna straordinaria, allegra e vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma». 

«Il femminicidio – è la riflessione – è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime di coloro che avrebbero dovuto amarle; invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi, fino a perdere la loro libertà, prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo. Com'è può essere successo a Giulia?». E ancora: «Ci sono tante responsabilità - ha aggiunto - ma quella educativa coinvolge tutti. Mi rivolgo per primi agli uomini: per primi dobbiamo dimostrare di essere agenti di cambiamento, contro la violenza di genere».

«Cara Giulia – la conclusione – è il momento di lasciarti andare, salutaci la mamma. Impareremo a danzare sotto la pioggia. Grazie per questi 22 anni. Io non so pregare, ma so sperare. Voglio sperare insieme a te a alla mamma, e a tutti voi qui presenti, che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite, e un giorno possa germogliare, e produca il suo frutto di amore, di perdono, e di pace. Addio Giulia, amore mio». 

Anche Elena Cecchettin ha voluto salutare la sorella: «Guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle, che fai a metà di un gelato con la mamma. Prima o poi ci rivedremo, lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me, perché sei il mio angelo custode, perché in fin dei conti lo sei sempre stato», le sue parole.

Il feretro bianco è poi uscito tra gli applausi degli oltre 8mila presenti che hanno affollato il sagrato e Prato dalla Valle, e tra fragorosi scampanellii e urla. Per fare rumore e non far mai calare il silenzio sulla vita spezzata di Giulia Cecchettin, come ha sempre chiesto la famiglia.

(Unioneonline/s.s.-D)

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