Quasi un anno fa Alessia Pifferi, la 38enne in cella dal luglio 2022 per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, chiese dal carcere di avere un colloquio telefonico con Giulio Caria, il muratore di Berchidda detenuto a Sassari (condanna a 30 anni, definitiva nel 2017) per aver ucciso dieci anni fa l'ex compagna Silvia Caramazza, il cui corpo venne ritrovato in un freezer.

È quanto emerso tra le pieghe del processo alla Pifferi, che si celebra a Milano. E, da quanto si apprende, la richiesta di contatto (che è stata respinta) sarebbe arrivata dalla donna dopo che Caria le avrebbe inviato una lettera, millantando di essere un suo parente e di voler coltivare un legame affettivo. 

Motivazioni e circostanze davvero singolari, che vanno a fare da trait d’union tra due crimini choccanti, che hanno fatto estremo scalpore nell’opinione pubblica. 

Per quanto concerne il procedimento che vede imputata la Pifferi, la Procura sottolineato che la donna non ha mai avuto problemi mentali, ma «un atteggiamento scellerato» e che era «consapevole» di quello che sarebbe accaduto alla piccola.

Per la difesa, per i suoi consulenti e per l'équipe psicologica del carcere di San Vittore, invece, avrebbe un ritardo mentale, un quoziente intellettivo di una «bimba di 7 anni».

Nel dubbio la Corte d'Assise di Milano, su istanza del difensore Alessia Pontenani, ha ritenuto «necessario» disporre una perizia psichiatrica per «accertare la sussistenza o meno al momento del fatto della capacità di intendere e volere e la eventuale pericolosità sociale» della donna, che deve rispondere di omicidio volontario, anche aggravato dalla premeditazione.

(Unioneonline/l.f.)

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