Sergio Zuncheddu, editore de L’Unione Sarda, imprenditore e autore del libro Buongiorno SarDegna, è stato oggi protagonista della puntata de “La Strambata” (QUI IL PODCAST) condotta da Lorenzo Paolini, direttore editoriale de L’Unione Sarda, e dalla giornalista Mariella Careddu.

Una lunga intervista (in onda in streaming su radiolina.it e in replica su Radiolina questa sera alle 23, domattina alle 4 e sabato 16 dicembre alle 8.30) a partire proprio dal libro dell’editore, una riflessione sulla Sardegna con l’occhio al futuro e all’importanza di imprimere quella svolta e quel “cambio di rotta”, come nel titolo del programma di Radiolina appunto, a partire da ciò che l’Isola è stata, dalla sua ricchezza nel patrimonio storico, culturale ed ambientale, che deve essere tutelato e valorizzato.

Proprio dalla tripartizione del volume, "da dove veniamo”, “dove siamo” e “dove possiamo andare”, il significato dell’opera: «Per capire dove siamo e dove possiamo andare – ha spiegato Zuncheddu – è fondamentale comprendere da dove veniamo, conoscere la storia della nostra amata Terra. Per migliorare il futuro è fondamentale conoscere gli errori del passato e avere una chiara percezione della condizione attuale».

L’IMPEGNO – Come il bambino che, proprio sul finire dell’opera «si svegliò completamente ed ebbe piena coscienza dell’amara realtà: tutto era ancora da fare! Quell’esserino innocente, pieno di speranze e fiducia nel futuro, consapevole dell’impegno necessario per portare a termine il compito cui tutti erano chiamati, cominciò la giornata con un mezzo inchino alla sua Terra, in segno di rispetto, e con un saluto gentile. Buongiorno Sardegna».

E così come il bambino del finale, ha ricordato Zuncheddu, tutti noi siamo chiamati a un compito per salvaguardare la nostra Terra, per salvarla, per renderla un posto ospitale e attrattivo, anche per chi ospite non è. Non basta sognare o chiacchierare, bisogna agire come sottolinea l’imprenditore: «Per ribaltare la situazione economica della Sardegna il tempo stringe».

I GIOVANI – Al centro dell’opera anche i giovani, loro sono il futuro dell’Isola. «Bisogna che i giovani si approprino del proprio futuro e che lo plasmino» l’invito di Zuncheddu. «Proprio quei giovani devono poter vivere in luoghi in cui possano esprimere le proprie capacità, la propria creatività, i propri talenti e accoglierli al meglio. Ci sono luoghi accoglienti per i giovani: senza andare lontano, a Milano, per esempio, ci sono le migliori università, i migliori ospedali e anche le migliori aziende. Una città in cui istruzione, lavoro e sanità funzionano, creando un contesto ambientale che favorisce lo sviluppo e diventa attrattivo per loro». «Se un tempo si esportavano braccia, oggi si esportano talenti», prosegue Zuncheddu. Ma senza i giovani la Sardegna non ha, non può avere, un futuro florido. E allora l’invito è anche a partire, ma «poi a ritornare». E dunque «partire per apprendere, imparare e poi, magari, portare quanto imparato nella “Casa dei sardi”». Sergio Zuncheddu ha lasciato l’Isola quando aveva 18 anni. «Io sono partito e se fossi giovane partirei ancora. Vedrei il mondo, lo interpreterei e poi tornerei».

ECONOMIA CHE SOFFRE – Quindi una riflessione sull’economia sarda, un sistema economico che soffre. Con una curiosa metafora: «La Sardegna è come una pozzanghera con un pesciolino. Cosa fa il pesciolino? Si dibatte, si contorce per cercare acqua e respirare. La Sardegna è il pesciolino e per salvare il pesciolino bisogna investire, bisogna aggiungere acqua. È l’unico modo per farlo nuotare sereno e felice. Nell’Isola gli investimenti sono frenati da mille ostacoli. In Sardegna non c’è la consapevolezza che l’investimento è quello che produce reddito, ricchezza collettiva e che diffonde benessere nella popolazione. Noi non abbiamo questa capacità. La classe dirigente sarda non ha questa capacità. Non solo quella politica ma anche burocratica, imprenditoriale e sindacale».

LA CLASSE DIRIGENTE – All’interno del libro anche pareri, delle volte severi, sulla classe dirigente. E tra le figure virtuose che spiccano come dimenticare quella di Mariano Quarto, padre di Eleonora d’Arborea, «che ha lavorato in modo egregio per cercare di liberare la Sardegna dagli spagnoli. È stato un grandissimo giudice e se non fosse morto per la peste nera probabilmente sarebbe riuscito a liberare tutta la Sardegna: gli mancava solo Cagliari e un pezzettino della zona di Alghero».

INVERSIONE DI ROTTA – Quindi i suggerimenti, di cui è ricca la terza parte del libro, su dove possiamo andare e, soprattutto, su cosa possiamo fare. «Bisognerebbe avere chiarezza sulla strategia per creare ricchezza collettiva e diffondere benessere – riflette ancora Zuncheddu –Si deve partire da un’analisi delle risorse di cui disponiamo per comprendere come le risorse possano essere messe a reddito per creare profitto collettivo. E quindi la “tutela del paesaggio”, non soltanto come valore estetico ma come risorsa». «La sua tutela è anche una delle missioni de L’Unione Sarda – ha sottolineato l’editore – che cerca di sensibilizzare i sardi, i lettori, sulla risorsa paesaggistica. I paesaggi emozionano, immaginiamo un paesaggio sardo, le colline, o l’orizzonte marino della nostra splendida Isola. Poi immaginiamo che questo paesaggio, capace di toccare lo spirito di chi lo guarda, magari al tramonto, venga deturpato dalle pale eoliche. Al di là del valore estetico e spirituale, il paesaggio ha un valore economico che va tutelato nell’interesse di tutti. L’ultima risorsa vera che ci è rimasta ed è quella che produce capacità attrattiva rispetto al resto del mondo».

LE IMPRESE – Tanti i riferimenti anche alla realtà lombarda: uno dei luoghi della vita dell’autore e dove la classe dirigente è consapevole del fatto che per diffondere benessere bisogna creare ricchezza collettiva. «Le imprese producono vera ricchezza – ha ricordato Zuncheddu – . Sono le imprese private che producono ricchezza. In Sardegna, tranne per poche eccezioni, c’è ostilità verso le imprese, dove gli imprenditori sono vittime della burocrazia regionale e comunale».

TEMPISTICHE SARDE E LOMBARDE – L’editore e imprenditore ha portato anche l’esempio del confronto fra tempistiche sarde e lombarde. «Se per realizzare il complesso di Santa Gilla, a Cagliari, ci sono voluti 17 anni affinché si ottenesse il permesso alla sua realizzazione, a Milano, in Lombardia, i tempi sono nettamente inferiori. Un esempio può essere sicuramente quello del “Merlata Bloom Milano”, il nuovo centro commerciale super innovativo che si trova nel quartiere Cascina Merlata del capoluogo lombardo. È inserito in un contesto di rigenerazione urbana che si chiama “Mind”. Con i suoi 100.000 metri quadrati è, forse, il centro commerciale più grande d’Italia. Il progetto è stato depositato, presentato, nel giugno 2020, in pieno periodo Covid, e il 27 di novembre dello stesso anno, con 2/3 del personale del comune di Milano in smart working, è stato approvato».

Il centro commerciale di Pirri è un esempio sardo di cui parlare. Nel 2014 è stata presentata una pratica per ristrutturare e fare un piccolo ampliamento: l’approvazione è arrivata dopo 8 anni. Se quell’investimento fosse stato fatto nei tempi corretti avrebbe avuto una ricaduta positiva sul territorio che ora si è persa. I cinque mesi lombardi contro gli otto anni sardi richiamano alla difficoltà delle imprese di cui si parlava prima: «Pensiamo anche alla miriade di imprenditori che non hanno le risorse per fronteggiare queste cose. Alla pubblica amministrazione non importa nulla delle imprese, della crescita, dell’economia. Ci sono Paesi in cui, quando vai a investire, ti stendono un tappeto rosso. In America, i funzionari dei comuni, sono incentivati a incamerare oneri e a creare attività, a favorire gli investimenti. Qui tu presenti un progetto e tu aspetti che ti dicano che non va bene», racconta Zuncheddu. «Quando tu blocchi gli investimenti, li ritardi, stai arrecando un danno alla comunità – prosegue Zuncheddu – . Dovrebbe esserci un reato specifico per il danno alla collettività».

«Noi sardi dobbiamo renderci più consapevoli del fatto che dobbiamo difendere la Sardegna – la conclusione – questa è la nostra casa. È come se nel nostro giardino ci volessero impiantare delle pale eoliche o coprire i nostri fiori con i pannelli fotovoltaici. I pannelli si mettono nei tetti delle case sarde ma non dobbiamo consentire una speculazione in danno del paesaggio. Noi non dobbiamo consentire quello che abbiamo già consentito».

(Unioneonline)

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