Convegno sul fenomeno del suicidio, ieri in Sala Angioy a Sassari. Introdotto dal presidente del Consiglio comunale Maurilio Murru, l’incontro ha ospitato le relazioni di psichiatri, counselor, assessori. «Molte persone - afferma la professoressa Alessandra Nivoli, direttrice della clinica psichiatrica dell’ateneo sassarese - vorrebbero vivere e non darsi la morte se solo riuscissero a trovare un aiuto».

Sono in aumento le patologie mentali in città, riferisce Nivoli, «che assumono forme molto violente». «In particolare gli uomini usano metodi suicidari sempre più cruenti». Talvolta preceduti da una volontà di mettere tutto a posto prima di abbandonare l’esistenza: «Compilando il testamento o andando a salutare persone che non vedevano da tempo e magari risolvendo vecchi litigi».

La cura psichiatrica è solo un tassello del tentativo di scongiurare il suicidio e, in questo senso, si aggiungono pure gli interventi dell’amministrazione comunale per fornire supporto a chi esperisce il disagio, come illustrato dall’assessore comunale ai Servizi sociali Gianfranco Meazza. Poi ci sono i luoghi che, purtroppo, aumentano le possibilità dei gesti volontari. «Il carcere - dichiara il cappellano di Bancali don Gaetano Galia - è un fattore a rischio a causa dell’isolamento e del senso di vergogna. Ci vorrebbe maggiore dialogo tra gli operatori della struttura». Su questo fronte è intervenuto il garante dei detenuti, da un anno e mezzo, della casa circondariale sassarese Gianfranco Favini. «Quello che noto è che il carcere non rieduca il detenuto, mancano i fondi ministeriali». Che cosa le dicono le persone private della libertà? «Che vogliono tornare a essere degli uomini e delle donne».  

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