«La caccia non è un'attività per soli uomini, qui mi guardano come una marziana ma ho la stima di mio figlio e della mia famiglia». Francesca Gambula, 44 anni, di professione impiegata alla Saras, dal 2020 ha iniziato a coltivare questa passione, abbattendo ogni stereotipo di genere, ma non senza difficoltà. Nella sua infanzia in una famiglia normalissima le solite attività domestiche e qualche escursione nei boschi. Qui forse sono nate la passione per la natura e la voglia di avventura. Così è stata pioniera per le donne di Capoterra in un ambiente tradizionalmente dominato dagli uomini: Francesca ha affrontato con coraggio i pregiudizi e si è guadagnata il rispetto della sua famiglia e della comunità.

Difficoltà iniziali?

«È una passione che ho sempre avuto, ma che ho coltivato tardi. Ho iniziato per gioco come battitore una domenica. È stato faticoso, ma la passione vince su tutto. Nel 2020 ho deciso di immergermi in questa attività. Ho preso il porto d'armi durante il Covid. Le difficoltà sono state tante, ma la voglia di iniziare era ancora più forte».

Il primo giorno?

«Ero così entusiasta, ma pioveva e sono scivolata. Un ramo mi ha colpito e ho perso la vista da un occhio. Non mi sono lasciata abbattere: la domenica successiva ero già in campo, con il fucile in spalla e un occhio bendato. Non mi sono mai arresa nella vita.

Cosa è per lei la caccia?

«È un'esperienza che coinvolge profondamente sia il corpo sia la mente. Credo nella convivialità delle persone, nel perseguire uno scopo giornaliero, nell'affrontare le difficoltà, la concentrazione e l'adrenalina. Sono tanti gli aspetti emotivi che entrano in gioco, non so spiegare completamente la mia passione».

Una donna in un mondo di uomini.

«Il mio ingresso in questo mondo della caccia ha rappresentato un vero e proprio scossone. Uno scossone importante. In un ambiente tradizionalmente dominato dagli uomini, la mia presenza ha suscitato reazioni diverse: alcuni mi hanno accolta con rispetto, mentre altri hanno voltato le spalle».

Chi le è stato vicino?

«Mio figlio è stato il mio primo tifoso. e poi mio fratello viene con me a caccia. Per me questo basta».

Sport crudele.

«Pur essendo una cacciatrice appassionata, mi sono posta una regola molto chiara durante le battute di caccia: miro soltanto ai cinghiali. Io amo gli animali, ne ho tanti in casa, so che sembra un paradosso. La mia scelta di mirare i cinghiali ha una ragione precisa: non mi lego emotivamente a loro come ad altri animali. Li ritengo anche pericolosi, non rappresentano solo una minaccia per l'ambiente naturale, ma anche per le comunità umane».

Capoterra è da sempre considerata una delle capitali del bracconaggio.

«È vero che in passato l'ombra del bracconaggio ha a lungo gravato sul comune di Capoterra, ma non è più come prima, l'etichetta è rimasta, ma l'abitudine è quasi scomparsa del tutto».

Dalle cronache non sembra.

«Forse qualcuno fa ancora sporadicamente la caccia di frodo, ma i tempi sono cambiati, la mentalità ormai a Capoterra è diversa. È comunque un'attività che aborro, non rischierei mai per una sciocchezza, per una denuncia o una condanna, che mi venga ritirato un porto d'armi per il quale ho sudato tanto. Siamo cacciatori, non chiamateci più bracconieri».

Michele Porcu

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