«A 11 anni gli spinelli, a 14 le pasticche, a 16 la cocaina, a 20 avevo perso affetti familiari, lavoro, amici e sorriso. Non avevo più nulla che non fosse la droga». Inizia così la storia di Alessio Melis, 34enne di Arbus che oggi, libero da ogni dipendenza, rivede il suo passato di dolore e solitudine in quello di tante famiglie povere. Proprio a loro, in questi giorni di festa, ha pensato di fare un regalo: il 25 dicembre per tutti una pizza consegnata a casa da Babbo Natale. «Ora che ho coronato il sogno di aprire una pizzeria, voglio condividere la gioia con questo piccolo gesto. In tanti mi hanno aiutato a cacciare la solitudine. Adesso tocca a me».

Il racconto

«Già dai banchi di scuola alle Elementari – ricorda Alessio – ero ribelle, non volevo stare in classe, fare i compiti era una fatica, ogni scusa era buona per stare a casa. In prima media sono stato bocciato quattro volte, a 13 anni ho mollato gli studi. Dalla scuola ai cantieri edili e poi alle stagioni sulla Costa Verde come porta-pizze a tavola e a domicilio. Mi pagavano bene. Con i primi soldi in tasca iniziai a frequentare le discoteche. E lì il primo contatto con la cocaina. È andata sempre peggio. Allargai le conoscenze e c’era chi si drogava più di me». A poco a poco si è allontanato da famiglia e parenti. «A volte rimanevo per strada di giorno e di notte con sconosciuti. Perso il lavoro, non avevo un soldo in tasca, ero sbandato. Pensavo solo alla cocaina».

La droga

Era ormai un’ossessione. «Ero pronto a tutto. La ricerca continua di soldi mi ha messo contro una mia cara zia. Forse è stata la cosa migliore che potesse capitarmi. Fu allora che il richiamo dei miei parenti, la paura di perdere davvero il loro affetto, il sostegno che comunque non era mai venuto meno, l’incubo di finire in carcere come un ragazzo che conoscevo, mi hanno stordito. Non capivo perché tutti mi sgridavano. Volti tristi, arrabbiati», continua Alessio. La svolta è arrivata quando ha visto la mamma piangere. «Mi sembra di sentirla ancora. Disse “Figlio mio, andiamo, ti accompagno in comunità. Vedrai, si risolverà ogni cosa”». Il primo passo dopo qualche giorno. «Mia madre scrisse una lettera a San Patrignano. Mi accompagnò e dopo un paio di colloqui con i responsabili le porte si aprirono».

La comunità

A 24 anni dentro, a 28 fuori dalla comunità e dalla droga. «È stata dura. Il primo anno in particolare. Un tutor seguiva ogni mio passo. A volte mi sembrava che leggesse persino il mio pensiero. Libertà zero. Il secondo anno è andata un po’ meglio, il terzo e il quarto anno lavoravo nella cantina della comunità e preparavo le pizze, ero responsabile di una stanza dove c’erano 12 ragazzi. Ho ripreso gli studi, conseguito la licenza media e un corso per pizzaiolo. L’attestato dell’“Accademia pizzaiolo” mi ha reso felice come una laurea. Così cominciai a riappropriarmi della mia esistenza e a responsabilizzarmi». Poi, le telefonate ai genitori, le prime uscite e il ritorno a casa.

La svolta

«Quello che mi ha sorpreso è che dopo 17 anni ho voltato le spalle a un periodo tanto brutto solo con il dialogo e non con i mezzi punitivi che temevo». Una lezione che Alessio giura di non dimenticare. «Oggi che ho una compagna, sono papà di due bambine, lavoro nella mia pizzeria, voglio fare qualcosa per gli altri, nel ricordo di tutti quelli che ho visto soffrire più di me. Posso dare quel che ho e so fare: una pizza, magari nelle case dove ci sono bambini. Chiederò al sindaco di aiutarmi a trovare le famiglie bisognose. Cinquanta o sessanta pizze, non fa differenza: l’importante è regalare un sorriso a chi l’ha perso e non l’ha ancora ritrovato».

Santina Ravì

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