Oltre quell’esclusiva “giungla” di inebrianti ginepri, meravigliose querce secolari, profumato mirto, e coloratissimi corbezzoli, c’è il paradiso fantastico di Piscinas. Qualsiasi pubblicitario di successo, con un po’ di lungimiranza e visione, avrebbe chiesto a Marco Mengoni, vincitore del festival di Sanremo e icona italiana alla prossima rassegna mondiale della canzone, di firmare la liberatoria per lanciare nell’etere quello “spot” sulla “giungla” di Piscinas.

“Giungla adventure”

Obiettivo senza preamboli: trasformare quella “giungla” nel messaggio più “adventure”, capace di rompere gli schemi e promuovere nel mondo quell’oasi “primordiale” di Ingurtosu, nel Comune di Arbus. Invece, no. Meglio buttare soldi al vento, ovviamente pubblici, per stampare pacchi di dépliants in quadricromia da cestinare nei cassonetti delle fiere mercato del turismo, piuttosto che trarre vantaggio da un testimonial “gratuito” che racconta in diretta radio il viaggio-avventura affrontato per impressionare nelle copertine dei suoi dischi, destinate a girare il mondo, il paradiso delle dune di Piscinas. In questa terra mineraria, sedotta e abbandonata, devastata da negligenza e sfregi impuniti, dove le vestigia antiche, uniche e prestigiose, crollano inesorabilmente senza che nessuno batta ciglio, ci si può permettere persino di mandare all’inferno colui che ne ha scelto il proscenio esclusivo per immortalare il suo successo musicale. Eppure è accaduto, surreale, ma è tutto scolpito nei titoli dei giornali di mezz’Italia: «negata la cittadinanza del Comune di Arbus a Marco Mengoni». Come prova di “balentia” a basso costo non c’è male. Farsi male gratuitamente da soli non è roba di poco conto, soprattutto in tempi di crisi. La realtà, però, in questo selvaggio paradiso terrestre, è ben altra. Le strade sono fortunatamente mulattiere, c’è il fango quando piove, la polvere quando picchia il sole, come in una “giungla”, selvaggia e autentica. Ti spunta di tutto, ovunque, dal cielo, dal mare e da terra . Qui, in quest’eremo sconosciuto ai più, devi procedere a passo d’uomo: ti attraversano il selciato stradale meravigliosi cervi iconici, altezzosi e padroni della “giungla”, cinghiali agili e irruenti, gli unici che non hanno mai visto un sacchetto d’immondezza di cui cibarsi, capre uscite da un red carpet, sobrie ed eleganti, arrampicate su alberi e costoni. “Giungla”, appunto. Forse l’ultima, illibata e incantata, in questa Sardegna saccheggiata dai predatori che arrivano dal mare, da terra e dall’aria. Una “giungla” paradisiaca, vera, autentica, da proteggere e salvaguardare, non nuraghi di “cartone d’oro” costruiti per foraggiare un sistema di promozione che, se non fosse inelegante, si potrebbe definire “grezzo” o “gretto”.

Silenzio rumoroso

Quelle reazioni “scomposte”, per non usare termini più adeguati, al racconto di Mengoni, hanno avuto un effetto tanto clamoroso quanto devastante, trasformando quella definizione di “giungla”, intesa come icona di esclusività e d’avventura, in un’accezione negativa e deplorevole. Insomma, tanto baccano per farsi male da soli. Intanto, però, tutti distratti dalla “giungla” d’aprile, si fa rumoroso il silenzio, questo sì, colpevole e complice, di quanto sta accadendo in quell’oasi nel cuore dell’ultima vera duna desertica del Mediterraneo. Una cortina di silenzio, un velo impietoso, su quanto il reportage fotografico che pubblichiamo in questa pagina ha immortalato nelle ultime ore, proprio in quel proscenio di Piscinas. Quando si arriva a ridosso di quella linea d’orizzonte tra mare e sabbia bianca finissima, dopo aver attraversato l’affascinante stradello verde e l’arco granitico della regale direzione della miniera di Ingurtosu, ti imbatti, come se si fosse in un cantiere industriale, piuttosto che in un’oasi naturalistica, in ruspe e mezzi pesanti, per legge tutti vietati. Sagomano parcheggi, pubblici e privati, solcano l’oasi esclusiva come se leggi, decreti, e divieti fossero carta straccia.

Cartelli dimenticati

Di cartelli ne è rimasto leggibile solo uno, quello del 1984 quando il Ministero dei Beni Culturali decretò quella struttura mineraria, adagiata sulle dune, monumento storico nazionale, come tale inviolabile, immodificabile, tutelato come il Colosseo. Il richiamo ministeriale è scolpito su un cartello giallo, consunto dal sole e dal tempo, ma sempre chiaro e leggibile. Quello che non è decifrabile, cancellato dall’uso di un pennarello tenue e dal silenzio generalizzato, è il cartello, quello che ovunque è obbligatorio, che dovrebbe raccontare quel che è stato autorizzato in quest’oasi e su quel bene storico monumentale sottoposto a vincolo assoluto dal ministero. Per scoprirlo bisogna affidarsi allo sguardo fotografico, l’unico che può documentare l’ennesima colata di cemento che si sta riversando in un luogo tanto esclusivo quanto inviolabile. Non bastava lo stravolgimento di prospetti, tetti perforati e sventrati per ricavarne suite, come se quel vincolo fosse un orpello superfluo, ora, su quel bene architettonico, si scaglia un’ulteriore colata di cemento, documentata in ogni suo dettaglio. Pubblichiamo le immagini eloquenti di quei nuovi muri in cemento armato che si stagliano dritti come una ferita indelebile sulle dune, come se l’oasi esistesse solo sulla carta. Per chi ha autorizzato quei lavori, se li ha autorizzati, a niente è valsa la sentenza del Tar Sardegna che aveva respinto il ricorso della società con motivazioni gravissime su quel che stava accadendo a Piscinas. Lavori che, secondo i Giudici amministrativi, avevano «determinato l’evidente alterazione della struttura sottoposta a vincolo storico architettonico». L’assise giudiziaria di piazza del Carmine a Cagliari aveva respinto il ricorso dei proprietari dell’Hotel Le Dune, quello che si sta stravolgendo a Piscinas, con un’affermazione che avrebbe dovuto «inibire ogni ulteriore compromissione dell’area protetta». Niente da fare, tanto clamore per la “giungla” di Mengoni, silenzio assoluto per questo nuovo affronto a quel bene storico-monumentale. Rapidi a scatenare sterili polemiche sul niente, silenzio assoluto, invece, sui beni ambientali e architettonici violati in dispregio di quel “vincolo puntuale” apposto proprio dal Ministero della Cultura su quel monumento minerario.

Smemorati

Qui, a partire dalle amministrazioni che avrebbero autorizzato, tutti sembrano essersi dimenticati del decreto del Ministero dei Beni culturali dell’11 dicembre 1984, che aveva imposto il vincolo monumentale-storico-architettonico. La conseguenza di quel provvedimento è riportata in tutte le leggi che seguirono, compreso quel piano casa del 2009 invocato per realizzare quelle opere, quelle dello scorso anno, che avevano “alterato” il monumento, e quelle comparse nei giorni scorsi. La stessa disposizione regionale è chiara ed esplicita: «Gli interventi previsti negli articoli 2, 3, 4, 5 e 6, - ovvero tutto il piano casa -, non sono ammessi sui beni immobili di interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio». In sintesi: ci si indigna per la “giungla” fantastica, si tace, invece, per lo sfregio alla natrura e ai monumenti di quell’esclusivo paradiso terrestre di Piscinas.

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