C’era commozione e tristezza, la mattina di giovedì 27 marzo del 2008, nella voce di Gaetano Pedroni, sindacalista Cisl, mentre lo intervistavo per un’emittente radiofonica locale: «Io, con Lorenzo Porcheddu, Claudio Paddeu, Lorenzo De Rosa, Beppe Chelo (rappresentanti di altre sigle sindacali, ndr) abbiamo posto una firma che praticamente sancisce la morte definitiva dell’Arsenale. Questa per me è una nota di tristezza. Non è stato facile … I lavoratori sono salvi, ma l’Arsenale è morto!».

Il giorno prima i 4 sindacalisti di Cisl, Cgil, Uil e Flp si erano recati a Roma, al Ministero della Difesa, dove avevano sottoscritto l’accordo per la ricollocazione di tutti i dipendenti civili dell’Arsenale Militare di Moneta. Era come se si fosse riusciti a salvare l’equipaggio, tutto l’equipaggio di una vecchia, gloriosa nave, che però stava per colare a picco, affondare definitivamente nel mare più profondo.

Entro breve termine, dunque, i 143 dipendenti avrebbero dovuto lasciare la struttura, diretta dal capitano di fregata Roberto Aramu che avrebbe passato le consegne a Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile incaricata dal Governo - quale Struttura di Missione - di realizzare i lavori necessari per l’organizzazione del G8 peraltro mai realizzato.

L’Arsenale chiuse ufficialmente il 16 maggio 2008 con una solenne cerimonia.

Le cose poi andarono come andarono come stanno andando tristemente tuttora, con una struttura - sulla quale sono stati spesi milioni di euro - ancora inutilizzata.

L’Arsenale, anzi il Regio Arsenale, era sorto nel lontano 1891 (132 anni fa). In quell’anno «25 operai specializzati provenienti soprattutto dall’Arsenale di La Spezia arrivarono a La Maddalena dove avviarono diversi reparti previsti nell’organizzazione del Tenente Generale del Genio Giovanni Moneta. Nell’ambito della base navale l’Arsenale (ovvero l’Officina Mista Lavori) doveva provvedere alle manutenzioni, riparazioni e assistenza di qualunque genere per le navi della Regia Marina e a mantenere in buono stato i macchinari, le armi, gli edifici di tutte le strutture appartenenti al Ministero della Difesa nell’Estuario, nonché provvedere alle necessità di tutti i semafori sardi» (da ‘Moneta’, pubblicato da Italia Nostra, 1991, Tip. Rossi).

A quei primi 25 operai si aggiungevano circa 200 forzati della Colonia Penale di Moneta. Attorno a quell’Arsenale negli anni successivi sorse il quartiere di Moneta con case che ospitavano sia le famiglie di militari che prestavano servizio presso la struttura che delle maestranze civili. Dipendenti civili che nel 1910 erano 117; nel 1929 furono 200; già 250 nel 1935; ben 650 nel 1970.

Poi iniziò la diminuzione: 500 dipendenti civili nel 1990; 335 nel 1995; 295 nel 1997; 143 al momento della chiusura, nel 2008.

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