Ogni anno trascorre in Sardegna le sue vacanze, almeno un paio di settimane con base in Costa Smeralda e yacht che si muove lungo le coste dell’Isola. Franco Nuschese, 64 anni, ormai italo-americano, ama il mare: è nato a Minori, nella costiera amalfitana, e non può non apprezzare quello sardo, che frequenta da oltre trent’anni. Il suo nome è molto più famoso a Washington che in Italia, e di sicuro oltre Atlantico pesa quanto (o forse di più) di quello dell’ambasciatore italiano. Lui è un’espressione reale dell’american dream, imprenditore oggi di successo, costruito negli anni grazie al lavoro, ma anche alla capacità di capire cosa chiedono i “paperoni” e i potenti del mondo quando entrano nei suoi ristoranti “Cafè Milano” che portano in giro per il pianeta il made in Italy.

L’Isola

«Frequento la Sardegna da oltre 30 anni, ho conosciuto l’Aga Khan, il management della Costa Smeralda e soprattutto Tom Barrack, venni anche a trovarlo in barca», racconta dallo yacht, nel Golfo di Orosei. Ogni anno, in questo periodo si ritrova nell’Isola con un gruppo di amici, arabi, americani e non solo, «poi ognuno va per la sua strada, in Francia, Corsica e così via». Per lui la Sardegna «ha un grandissimo potenziale. Vanta grandissimi professionisti nel mondo dell’ospitalità, come ad esempio il grande Andrea Di Mauro, a Cala di Volpe, che mi ha sempre impressionato. Ci sono tante eccellenze. So che quest’anno gli alberghi chiuderanno non prima del 31 ottobre, secondo me c’è la possibilità di rimanere aperti anche fino a dicembre. C’è l’intrattenimento che attira, ma secondo me ciò che rende la Sardegna unica è quello che offre: mare, spiagge bellissime, tranquillità».

Il potere Usa

La costiera amalfitana, dove Nuschese è nato e dove l’overtourism è una realtà, non assicura la serenità di una vacanze in terra sarda. E lui ha fatto della garanzia di tranquillità, riservatezza e capacità di accontentare i suoi clienti un segno distintivo, che piace ai politici americani e soprattutto ai presidenti Usa, da Clinton fino a Biden, mentre Trump gioca in casa nei suoi locali. «Ho avuto la fortuna di aprire nel 1992 il Cafè Milano, dopo aver seguito il mio mentore per anni. Il giorno in cui Clinton prese in mano il Paese, dopo la presidenza di Bush padre, io aprivo a Washington. Ci si preparava a grandi cambiamenti, trovai un locale vicino alla Georgtown University e iniziò l’avventura», racconta. I politici Usa ne hanno poi fatto un luogo d’incontro, a iniziare proprio dai presidenti, Bill Clinton, Barack Obama, Bush Junior e per ultimo Biden, che frequentava il Cafè Milano già da vicepresidente. E anche dall’estero, chi passava per Washington, non può fare a meno di trascorrere una serata al Cafè Milano: arabi, israeliani, medio orientali. I potenti conoscono Franco Nuschese. «Lo ha scritto anche il New York Times, le basi per gli accordi di Abramo vennero gettate nel mio locale, quando feci accomodare Netanyahu in una sala dove erano presenti esponenti di primo piano della penisola araba», rivela.

La filosofia

I prodotti di primissima scelta colpiscono la gola degli ospiti, la gentilezza e la riservatezza, condite dalla disponibilità di Nuschese, fanno il resto. «Non abbiamo la carbonara in menu ma se qualcuno ce la chiede...», dice, svelando che Giorgia Meloni, in uno dei suoi ultimi passaggi nella capitale Usa, gli ha fatto i complimenti dicendo che per mangiare bene italiano bisogna andare negli States. «Mi capita spesso di sedermi a tavola con i miei ospiti, ma tutto avviene in un clima di piena riservatezza, e loro si fidano. Ho sempre spiegato ai giornalisti che certe cose non si possono dire». Questa è la sua filosofia, unita alla capacità di relazione: Nuschese oggi fa parte dell’Atlantic Council e della National Italian American Foundation, con cui di recente hanno premiato Carlo Cimbri, «un sardo illustre, uno dei miei amici dell’Isola insieme a Natale Ditel». L’ambasciata italiana, insomma, ha una appendice al Cafè Milano di Washington e le scelte della Casa Bianca passano anche un po’ per l’Italia.

Giuseppe Deiana

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