DAL NOSTRO INVIATO

VITO FIORI

«Sono attimi. A questo punto che cosa possiamo fare?». Saverio Cherchi, 75 anni, siede sul bordo della sedia, la schiena dritta di chi è pronto ad alzarsi per scappare via. È il contegno garbato di un uomo che, dopo aver accolto il cronista, non riesce a trovare le parole per congedarlo.

Nel soggiorno della sua casa di via Isonzo, a pochi passi dal Corso di Orune, il fratello di Nino Cherchi ha i quotidiani aperti sul grande tavolo rettangolare, le pagine che grondano particolari sul duplice omicidio di Olbia. È il passato che ritorna, un incubo che pensava di essersi gettato alle spalle e che invece si è materializzato all'improvviso. «Mi dispiace, non ho niente da dire perché niente c'è da dire», quindi, una rapida stretta di mano: «Adiosu».

In corso Vittorio Emanuele, a metà mattina, ci sono alcune donne davanti al camion di frutta e verdura e qualche pensionato seduto sulle panchine. L'argomento del giorno però è la storiaccia che arriva dalla Gallura, e qui ne avrebbero fatto volentieri a meno di sentirla. Perché, anche se successa altrove, resta pur sempre una storia di Orune, in particolare per lo spessore del protagonista, non uno qualsiasi.

«Un attimo, la follia di un attimo. Il suo era un destino già scritto, dalla vita non puoi scappare e questa è la sua vita». E aggiunge: «Era buono, garbato ma un po' “mancante”, cioè, aveva dei momenti di poca lucidità». A parlare, nella via principale del paese, è un uomo di 80 anni, che ha visto Nino Cherchi crescere insieme alle due sorelle, Pietrina e Antonietta, e agli altri cinque fratelli, Giovannino, Giommaria, Raimondo, Saverio e Peppino. «Una bella famiglia - continua l'anziano - il padre, Francesco, era un “massaiu” (un buon agricoltore, ndr ) che lavorava tutto il giorno pensando a non far mancare nulla a moglie e figli».

Ma non tutti lo ricordano in paese. Un suo coetaneo: «Lo conoscevo di vista da ragazzino, non l'ho mai frequentato. Sono anni che non lo vedo». In realtà, dalla Barbagia, Nino Cherchi manca ormai da tre decenni. Era tornato a Oliena dopo la grazia ma era rimasto poco più di un anno prima di trasferirsi a Olbia. «Prima lo vedevo spesso - dice un ragazzo - so che veniva a trovare i suoi parenti, mio padre lo conosceva molto bene, poi gli incontri si sono diradati perché lui stava lontano da paese e anche i rapporti si sono raffreddati».

Un altro giovane che, come tutti, vuole mantenere l'anonimato, racconta di un episodio avvenuto a Nuoro una trentina di anni fa. «Nino aveva assistito all'omicidio di Giacobbe Barracca, il fratello della sua fidanzata. Era con lui e con quella che sarebbe diventata sua moglie, mentre passavano in auto in una via della città. Qualcuno sparò contro la macchina e colpì Giacobbe. Ero bambino ma di questa cosa si parlò molto anche a scuola, per tanti giorni».

Una vita segnata dalla violenza, insomma. E non solo per causa sua. «Quando si finisce nelle mani della giustizia - pontifica un uomo sulla cinquantina che sembrava distratto ma ascoltava attentamente la conversazione - è difficile liberarsi. È una maledizione, per molti, per la gran parte delle persone non è facile capire cosa significhi. Qui lo sappiamo bene». E prescinde dal fatto che a sparare ai due albanesi sia stato proprio Nino Cherchi. È come se non fosse stato lui ad armarsi, ma l'ira, uno scatto di rabbia che ha vanificato l'impegno di tanti anni. Sette colpi di pistola, due morti e una donna ferita per una “mancanza”, per l'assenza temporanea - e fatale - della lucidità necessaria a risolvere una banalissima disputa.
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