In principio fu Renato Soru. Mister Tiscali, che sbaragliò la concorrenza nel 2004 sulla via per Villa Devoto (che poi chiuse), si affidò a una piemontese per tenere a bada gli appetiti dei politici e soprattutto le sorti dei pazienti.

Di Nerina Dirindin, assessore regionale alla Sanità, piemontese di Torino, si ricordano il curriculum, il carisma, la competenza e il piglio decisionista, per quanto le decisioni passassero, sempre e comunque, dal presidente. L'influenza della professoressa di Economia pubblica, già dirigente del ministero della Salute e poi deputato, si avverte ancora tra i corridoi degli ospedali e in molti uffici amministrativi.

E questo sarà pure un merito. Anche se - ci sta, per carità - qualcuno storcerà il naso. L'era Soru-Dirindin, per la salute dei sardi, si ricorda soprattutto per un patto con il diavolo. Roma si impegnò con il suo bilancio a trasferirci i giusti denari e noi (noi Soru, noi Regione e noi sardi) ci impegnammo ad accollarci - più o meno tre miliardi, un terzo della spesa regionale - tutti i costi per prevenzione, diagnosi e cure.

Fu cosa buona e giusta? Ognuno risponda secondo coscienza, ma il tira e molla continuo, ribattezzato dai giornalisti "vertenza entrate", ci insegna che dello Stato è meglio non fidarsi.

Nel 2016 furono Francesco Pigliaru e l'assessore - sardo di Nuoro - Luigi Arru a chiamare un ligure-piemontese, Fulvio Moirano, per tenere a bada gli appetiti dei politici e soprattutto le sorti dei pazienti. Il supermanager ha lasciato l'incarico giusto una settimana fa, con due anni di anticipo rispetto al contratto. Succede quasi sempre quando in Regione, ogni cinque anni, cambia l'aria.

Di Moirano si ricordano il curriculum (è stato anche direttore di Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), il carisma, la competenza e il piglio decisionista. Per quanto, ha sempre detto, le decisioni passassero, sempre e comunque, dal presidente e dall'assessore.

Dell'era Pigliaru-Moirano, per la salute dei sardi, si ricorda soprattutto un altro patto con il diavolo. La storia è più fresca e la memoria è più viva. La Giunta regionale ottenne da buona parte del centrosinistra il varo dell'Azienda unica per la tutela della salute (con sede a Sassari) e il via libera alla riforma della rete ospedaliera.

Fu cosa buona e giusta? Ognuno risponda secondo coscienza. Ma i cambi di opinione dopo il voto in aula, tra gli onorevoli del centrosinistra, ci ricordano che nulla è per sempre. Nemmeno la fiducia. L'ala più estrema della sinistra sarda la riforma l'aveva subita per avere in cambio il Reis, il reddito di inclusione sociale. Non a caso Massimo Zedda, chiamato a ricompattare una coalizione per cinque anni a guida Pd, disse chiaramente che, da presidente della Regione, avrebbe mandato in camera mortuaria la riforma sanitaria.

Ed eccoci sotto l'ombrellone di questa calda domenica di luglio. Il segretario nazionale del Partito sardo d'Azione e presidente della Giunta regionale, Christian Solinas, non nasconde di volersi affidare a un altro continentale (altoatesino) per tenere a bada gli appetiti dei politici e soprattutto le sorti dei pazienti.

Il prescelto è Thomas Schael, una ventina di pagine di curriculum (si legge anche che la prima lingua è il tedesco, ma l'italiano e l'inglese sono "eccellenti") con esperienza tra questa e quella regione d'Italia, con più di una tappa a Bruxelles. La scelta è sacra e inviolabile, non sia mai, ma è doveroso ricordare che i partiti ieri di lotta e oggi di potere criticarono aspramente la nuova calata dei piemontesi nell'era Soru e nell'era Pigliaru.

Certo, per i manager sardi, spesso chiamati a ruoli di responsabilità in giro per il mondo, la scelta di un altro forestiero suona come una bocciatura. O forse no. Sarà cosa buona e giusta? C'è tutta una legislatura per rispondere. In fondo, l'unica cosa che conta, è la nostra salute. Aspettiamo fiduciosi, grazie. O se preferite in tedesco, danke!

Emanuele Dessì
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