Quel che sta avvenendo in Sardegna da tre o quattro legislature regionali a questa parte, appare come una chiara smentita a quell'arcinoto aforisma attribuito a Giulio Andreotti che recita "il potere logora chi non ce l'ha". Infatti, ad ogni tornata elettorale si è registrata un'alternanza nel governo della Regione, dimostrando che le compagini al governo siano risultate logorate proprio dall'utilizzo del potere.

Le ragioni? Si potrebbe dire, con estrema semplicità, che proprio l'essere maggioranza (cioè d'avere in mano il potere di governare l'isola) abbia provocato più delusioni che soddisfazioni, più pentimenti che gratificazioni. Nel senso che alle promesse fatte ed alle attese suscitate nel momento elettorale non abbia corrisposto la capacità di impedire che la Sardegna ponesse fine al suo declino.

Così le stagioni legislative, suppergiù da vent'anni in qua, si sono alternate come quelle climatiche, in discontinuità tra un potere di centrosinistra e uno di centrodestra. Capiterà anche stavolta? Non ci saranno più, come in passato, due o più quinquenni in continuità nella guida politica? Si continuerà ad assistere ad un ricorrente e frenetico spoil system di leggi, norme, centri di potere, per cui prevarrà la discontinuità più assoluta, con un susseguirsi di scelte e controscelte fra il centrodestra ed il centrosinistra, in un continuo disinteresse nei confronti delle difficoltà della società civile isolana?

D'altra parte, se la competizione politica si riduce ad una semplice lotta per il potere (con vantaggi personali, di partito o di clan), i risultati non possono essere che questi.

Esiti del tutto punitivi elettoralmente per chi ha deluso nel governare l'isola. E questo è avvenuto regolarmente, da Pili a Soru, da Cappellacci a Pigliaru. Occorrerebbe quindi riportare la politica ai suoi fini originari, di dover essere lo strumento per procurare ed assicurare il bene comune dell'intera società regionale. Per ottenerlo, la strategia principale dovrebbe essere quella di rimettere in moto lo sviluppo, sconfiggendo definitivamente la decrescita oggi imperante.

Iniziando con il mettere in campo delle azioni efficaci per alzare innanzitutto - come ha sostenuto Paul Krugman, Nobel 2008 per l'economia - il prodotto pro capite. Che qui nell'Isola ha perso in vent'anni quasi un terzo del suo valore, ed oggi sconta oltre il 25 per cento in meno di quello medio nazionale, che è pari a 27.970 euro. Si è dell'avviso che occorra prioritariamente riportare le emergenze in atto (da quelle delle disponibilità e dei costi energetici a quelle delle criticità del lattiero-caseario) in un quadro di sistema economico programmato. In modo da trasformarle in opportunità di sviluppo.

Occorrerebbe quindi curare in primo luogo la predisposizione di un disegno strategico di ampio respiro, declinato in obiettivi dettagliati, concreti, verificabili; e, in secondo luogo, la necessità di approfondire tutte le ragioni che hanno portato al sorgere delle difficoltà odierne (dalla decarbonizzazione incombente al deprezzamento del latte) che devono essere ben analizzate, affrontate e superate. Per troppi anni l'economia isolana ha dovuto camminare su terreni impervi senza un sostegno adeguato di regole, senza percorsi capaci di sostenerne la crescita e l'affermazione sui mercati, e di fornire alle nostre imprese adeguati sostegni per gli investimenti e nella ricerca applicata.

Occorre uscire dalle dinamiche perverse dei lavoretti a regìa e dei bandi-lotteria di impossibile comprensione, di forte aleatorietà e dal “timing” infinito. Una politica di sviluppo efficace dovrebbe puntare sull'automatismo degli incentivi sia sul versante della defiscalizzazione che dell'incremento occupativo e dell'innovazione dei processi. Con queste misure si potrebbe finalmente riattivare un meccanismo di crescita sostenuta, mantenerla stabilmente nel tempo e rendere così fisiologica la crescita competitiva delle nostre imprese.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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