Chi è l'assassino? E perché il delitto perfetto non si è compiuto?

Resta apparentemente un monolite, la Lega, in queste ore, ma il colpo è stato duro. Il vero problema strategico del Carroccio oggi è questo: aveva due possibili obiettivi, un nuovo governo con rapporti di forza più favorevoli, o il voto, e li ha persi entrambi. Così oggi, dentro e fuori, tutti si chiedono come e perché Matteo Salvini abbia provato a staccare la spina proprio in questo tormentato Ferragosto, in questa modalità, e perché non lo abbia fatto prima.

Per spiegare questo enigma, tuttavia, non basta un retroscena, ma serve una chiave di lettura più complessa. Oggi alcuni capi della Lega mugugnano, altri scuotono il capo, ma fino a ieri tutti tiravano la giacca al leader ed erano d'accordo con Salvini. Il vero errore del "capitano", con il senno di poi, è stato fare esattamente il contrario di quello che aveva detto in questi mesi. Aveva spiegato che non avrebbe chiesto poltrone, ma in realtà, fino all'ultimo, ha provato a trattare su un'ipotesi di rimpasto, convinto che Luigi Di Maio avrebbe ceduto. Aveva detto che voleva governare altri cinque anni con questa maggioranza, ma poi si è trovato nei panni di Bruto, con il coltello in mano. Aveva ripetuto cento volte, nelle riunioni riservate con il suo stato maggiore, che non intendeva perdere il boccino nella gestione della crisi. Ma poi, è esattamente questo ciò che è accaduto dopo il famoso giovedì in cui la Lega ha staccato la spina e chiesto di andare al voto. Il vero punto di non ritorno.

Salvini aveva aggiunto tante volte che non avrebbe ripetuto l'errore fatto da Matteo Renzi - a suo avviso - con il referendum costituzionale del 2016: "Io non mi metterò nella condizione del tutti contro uno, in cui chi è uno, necessariamente soccombe". Aveva spiegato in questi mesi, infine, che non avrebbe resuscitato il centrodestra, che l'accordo con Berlusconi era il passato, e che ormai la Lega era il perno di qualcosa di nuovo, di sovranista e di diverso. Eppure, nel pieno della battaglia, Salvini, per trovare alleati nella battaglia per il controllo del calendario parlamentare, ha concesso a Forza Italia la riesumazione della vecchia alleanza.

A ben vedere, il processo che porta la Lega nell'angolo inizia proprio dopo il suo più grande trionfo, alle elezioni Europee. Nella trattativa per votare il nuovo presidente della Commissione, il protagonismo di Giuseppe Conte crea un'alleanza impossibile fino al giorno prima, in cui i Cinque Stelle diventano determinanti. Questa mossa indebolisce Salvini, perché sbarra la strada per la poltrona di euro-commissario a Giancarlo Giorgetti. Subito dopo, il premier Conte ammaina la bandiera della Tav, antica battaglia identitaria pentastellata. Ma lo fa per chiudere la strada a Salvini sul tema delicato delle Autonomie. È un arrocco scacchistico. Che scatena contro il leader la rabbia dei governatori del nord.

A questo punto tutti i congiurati hanno impugnato il coltello. Salvini vive l'ebbrezza del Papete, occupa le spiagge con il suo tour, catalizza i media, prova la guerra-lampo, ma il blitz-krieg, in Parlamento fallisce. Era diventato capo di una coalizione, adesso torna capo-tribù e lo aspetta una traversata nel deserto. Deve dimostrare di essere bravo nella guerra di posizione quanto in quella di manovra. La più lunga. La più difficile.

Luca Telese
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