Giovanni Sotgiu: "Sì alla ripartenza anche nell'Isola, ma con regole e sanzioni"
"In questa fase si può trovare una soluzione misurata sui rischi epidemiologici della malattia che possa però salvaguardare il sistema economico"Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Giovanni Sotgiu, 47 anni, una specializzazione in malattie infettive, insegna Statistica medica all'Università di Sassari. È l'uomo giusto, dunque, per aiutarci a leggere i numeri dell'emergenza Covid-19 che ogni giorno vengono comunicati dalla protezione civile nazionale e regionale. Uno scienziato pedagogista, lo si può definire, non solo perché ha ideato quello che viene chiamato "Modello Trinità" di comunicazione diretta con i cittadini, ma anche perché - con i colleghi dell'Università Statale di Milano - ha creato Predict Covid-19, un sito interattivo che, regione per regione, mostra l'andamento dell'epidemia e, sulla base dei dati reali, fa una predizione nel tempo. "Il modello è valso per la Lombardia e le altre regioni italiane. L'abbiamo applicato anche alla Spagna e alla Germania".
Professore, come va letto l'andamento dell'epidemia oggi in Sardegna?
"Siamo in una fase di ascesa e, se l'andamento rimarrà lo stesso, a partire da metà maggio la curva comincerà potenzialmente ad appiattirsi, anche riguardo al numero delle morti, per arrivare a luglio...".
Significa che a luglio saremo ancora tutti chiusi in casa?
"Spero proprio di no, anche perché la Sardegna sopravvive grazie al periodo estivo. Spero ci siano le condizioni per poter elaborare una strategia di riapertura che sia graduale e che tenga conto dei rischi, ma che permetta di ripartire. In questa fase bisogna dare un messaggio positivo che non sottostimi il problema ma gli dia l'adeguato peso".
Lei è d'accordo sull'avvio di una graduale riapertura?
"L'ultimo decreto del governo ha già previsto qualcosa".
Ma la Sardegna ha confermato la stretta, ad esempio sulle librerie...
"Il presidente Solinas avrà deciso sulla base dei consigli del comitato scientifico e non conoscendo queste raccomandazioni non mi permetto di giudicarle".
Ma tante regioni, sulla base delle indicazioni del governo, hanno cominciato.
"Mi sembra giusto. In questa fase si può trovare una soluzione misurata sui rischi epidemiologici della malattia che possa però salvaguardare il sistema economico".
In Sardegna qual è la situazione?
"Stiamo avendo un incremento del numero dei casi, così come dei decessi, principalmente legato al fatto che nel momento in cui, come le altre Regioni, abbiamo applicato le misure di confinamento domiciliare, il virus era già diffuso. Se ne è ridotta la circolazione, ma l'infezione non si può azzerare con un interruttore. Vero è, peraltro, che questo genere di evoluzione epidemica si sarebbe potuta attutire se avessimo avuto una solida educazione alla prevenzione...".
In che senso?
"Distanza sociale, lavaggio delle mani, ventilazione degli ambienti sono misure semplici che tutti, a cominciare dagli operatori sanitari, dovremmo adottare ogni anno pure per l'influenza. Invece è successo che la non corretta applicazione delle misure, più il fatto di ritrovarsi le farmacie prive di disinfettanti alcolici, guanti e mascherine, hanno creato un problema anche sul territorio".
Il Modello Trinità cos'è?
"La dimostrazione che anche una corretta comunicazione è utile a modificare in meglio i comportamenti della popolazione. Un'esperienza pubblicata sull'International Journal of Tuberculosis and Lung Disease, e quindi validata dalla comunità scientifica. Grazie a questi incontri per via telematica abbiamo aiutato la gente a dare il giusto peso al problema del Covid che non va sottovalutato ma neanche riempito di caratteristiche che non possiede dal punto di vista scientifico".
Qual è la paura più grande che lei ha colto?
"I camion militari che a Bergamo trasportavano le bare. Un'immagine devastante. Quando dico che la letalità è inferiore al 2%, la gente mi dice: allora perché così tanti morti? E allora spiego come il 2% moltiplicato per 100mila, o centinaia di migliaia di contagiati, significa grossi numeri dal punto di vista assoluto. Dico anche che il virus Sars Cov-2 non è l'Ebola che su 100 infettati 47 li uccide. In questo caso su 100 infettati muoiono 2".
Lei non leggerebbe in televisione il bollettino pomeridiano dei numeri?
"Non mi permetto di criticare. Ma è vero che la popolazione non ha bisogno di messaggi unidirezionali, bensì di spiegazioni, di rassicurazioni da parte degli esperti".
Il messaggio anti-paura che dà lei qual è?
"Primo, positività non significa morte. Secondo, bisogna tutelare i soggetti vulnerabili: ultra65enni e coloro che hanno patologie cardiache, renali, alle vie respiratorie, diabete, i grandi obesi".
C'è un indicatore a cui possiamo prestare attenzione per capire se il contagio sta calando?
"La diminuzione dei malati, cioè dei ricoverati. Sempre tenendo conto del periodo di incubazione della malattia che sta tra i 5 e gli 11 giorni".
Ma in Sardegna non sono numeri piccolissimi?
"E' la fotografia corretta che inquadra la storia naturale di questa infezione: 80 su cento infettati non hanno sintomi; il 10, 15% circa sviluppa una polmonite interstiziale; il 2% va incontro alla morte".
Siamo in una fase di crescita...
"Sì, immagini una curva a S. Dobbiamo valutarne l'andamento che è molto simile a quello della Lombardia e di altre regioni italiane".
Il caldo potrebbe aiutare?
"E' un punto interrogativo. Si vedrà, per ora dobbiamo tenerci prudenti".
Servono più tamponi?
"No, perché non danno garanzie: se io sono negativo oggi, domani posso incontrare un positivo per strada e mi contagio. Dove sta l'utilità?".
E i test sierologici?
"Nel momento in cui l'Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità dicono che in questo momento il Ministero non raccomanda alcun genere di test, abbiamo detto tutto".
Lei non critica la decisione del presidente Solinas, però approva l'allentamento fatto dalle altre Regioni...
"Abbiamo tenuto aperti i supermercati, è vero? Penso che regole come distanziamento, mascherine, gel per le mani, le possiamo applicare anche in altri ambiti sociali dove non si creano condizioni di assembramento. Ad esempio nei ristoranti dove può essere rispettata la distanza di un metro tra i commensali".
E se poi le regole vengono disattese?
"Si dirà: ti metto 10mila euro di multa e ti chiudo il locale. Prevedendo sanzioni pesantissime penso che una graduale apertura di alcuni tipi di attività, anche per fare ripartire l'economia, la si possa prospettare".
Ma da subito, professore?
"A mio modo di vedere sì, e lo dico anche da studioso di tubercolosi, malattia ben più contagiosa del Covid".
Piera Serusi