Nassiriya, l'ex carabiniere Pietro Sini, scampato alla strage: "Nella base c'era la certezza dell'attentato"
Il ricordo, il dolore e l'amarezza di quel giorno sono ancora ben vivi nella mente di Pietro Sini, 58 anni, di Porto Torres.
Il 12 novembre 2003 faceva servizio, come appuntato scelto dei carabinieri, nella base "Maestrale" di Nassiriya in Iraq, detta "Animal house". Scampò per caso alla strage e fu uno dei testimoni al processo militare del terribile attentato terroristico, che vide la morte di 19 italiani, tra cui 12 carabinieri, 5 militari dell'esercito e due civili. Tra le vittime anche il maresciallo sardo Silvio Olla.
Pietro Sini è da qualche anno in pensione. Vive con la sua famiglia alla periferia di Porto Torres. Da diverso tempo è entrato in polemica con l'Arma, perché a suo avviso non gli sono state riconosciute "le agevolazioni che per le legge spetterebbero ai parenti di coloro che sono state coinvolti come parte lesa in atti di terrorismo".
Oggi ripercorre ciò che ha visto quel giorno, iniziando dalla casualità per cui è scampato alla strage. "Quella mattina stavo rientrando alla base con alcuni marescialli che mi precedevano - dice -. Poi mi sono ricordato di dover eseguire altre mansioni, considerato che facevo l'istruttore presso la polizia locale irachena. Mi hanno invitato a seguirli, ma io sono tornato indietro. Dopo qualche centinaio di metri ho sentito la terribile deflagrazione. Anche quei carabinieri avevano perso la vita".
Sini fu tra i primi ad essere impegnato nei soccorsi e nel riconoscimento delle vittime. Nei giorni precedenti l'attentato l'aria che secondo lui si respirava nella base era diventata pesante. "Non avevamo sospetti di atti terroristici - precisa -. Avevamo certezze. Certezze che sarebbe successo qualcosa. Lo sapevano i Servizi italiani, americani e inglesi che l'attentato ad una base italiana era imminente".
Da qualche anno non viene invitato alle cerimonie che ricordano la strage. "Sono una persona scomoda - conclude -. Forse non è stata gradita la mia presenza al processo militare e le proteste che ho fatto nel corso degli anni".