La guerra

Ultimatum a Kiev, Trump ci ripensa  

Oggi a Ginevra colloqui Usa-Ue-Ucraina. Anche in America dubbi sui 28 punti 

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WASHINGTON. Dall’ultimatum di Trump a Kiev «prendere o lasciare entro giovedì» alla riapertura della mediazione diplomatica, con un vertice oggi nella neutrale Svizzera tra ucraini, americani ed europei. È l’ultimo sviluppo della crisi ucraina, dopo il gelo di Zelensky e Bruxelles sul piano di pace Usa in 28 punti, troppo filorusso. Una svolta apparentemente confermata dal presidente americano. «La guerra deve finire in un modo o nell’altro», ha detto ai giornalisti prima di andare a giocare a golf. Ma ha risposto «no» quando gli è stato chiesto se questa fosse la sua offerta definitiva a Kiev, lasciando intendere che forse c’è ancora margine per limare l’accordo.

«Ulteriore lavoro»

Per l’Ucraina e gli europei il piano di pace può essere una base per i colloqui, ma necessita di «ulteriore lavoro». A Ginevra una nutrita delegazione ucraina guidata da Andriy Yermak incontrerà l’inviato Usa Steve Witkoff e il segretario di Stato Marco Rubio. Per gli europei i consiglieri per la sicurezza nazionale di Francia, Germania e Gran Bretagna (E3) e il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Fabrizio Saggio, che ha lasciato il G20 a Johannesburg. Non è invece per ora sul tavolo una missione di leader europei alla Casa Bianca per discutere il piano con Trump, come successe lo scorso agosto. Dal summit sudafricano, disertato dagli Usa, i leader Ue e G7 hanno già tirato il freno a mano, riconoscendo che «la bozza iniziale del piano in 28 punti include elementi importanti che saranno essenziali per una pace giusta e duratura» ma rappresenta solo «una base che richiederà ulteriore lavoro». Inoltre si sono detti «chiari sul principio che i confini non devono essere modificati con la forza» e «preoccupati per le limitazioni proposte alle forze armate ucraine, che lascerebbero l’Ucraina vulnerabile a futuri attacchi». E intanto critiche bipartisan sul piano serpeggiano anche in Usa tra alcuni senatori, tra cui il repubblicano Roger Wicker, leader della potente commissione del Senato per le Forze Armate.

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