Terrorismo

«Soldi per Hamas»: nove arresti 

Sette milioni di euro trasferiti all’estero, inchiesta della Direzione antimafia 

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ROMA. Sui conti correnti di Hamas, tra i bonifici in entrata, ci sarebbero anche quelli dall'Italia. Il “Movimento di resistenza islamica”, lo stesso responsabile degli attentati del 7 ottobre 2023, avrebbe ricevuto finanziamenti per 7 milioni di euro dalla cellula italiana del network europeo di associazioni di volontariato, che foraggerebbero sotto copertura i combattenti palestinesi. A intercettare il flusso di denaro sono state le indagini di Polizia e Guardia di finanza coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo e dalla procura di Genova, sfociate in un blitz che ha portato a nove arresti e ai provvedimenti nei confronti di tre associazioni.

In Italia, a quanto emergerebbe dalle indagini, il riferimento principale per l'invio di denaro ai terroristi era la “Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese”, con sede a Genova ed esistente da oltre vent'anni: il responsabile è Mohammad Hannoun, che è anche presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia. Per gli investigatori Hannoun è un membro del comparto estero di Hamas e vertice della cellula italiana della stessa organizzazione terroristica ma il suo legale, Dario Rossi, attacca: «Si cerca un pretesto per metterlo a tacere. Da sei mesi si assiste a una campagna martellante, tutti i giorni, in Parlamento e su alcuni giornali. Era evidente che si volesse far calare il sipario su di lui».

Soddisfazione arriva invece da Israele, con il ministro della Diaspora Amichai Chikli: gli arresti, dice, rappresentano «un passo importante nella lotta contro il terrorismo di Hamas, che ha spostato sempre più il suo baricentro verso l'Europa».

Mimetica e lanciarazzi

Secondo le indagini solo qualche settimana fa Hannoun aveva partecipato a una riunione in Turchia alla quale ha preso parte anche un esponente di spicco del comparto estero di Hamas e in diverse intercettazioni avrebbe espresso apprezzamenti per vari attentati. Nei pc dell'associazione è spuntata persino la foto di Riyad Abdelrahim Jaber Albustanji, un altro degli arrestati: l’immagine lo mostra in divisa mimetica e armato di lanciarazzi, con i simboli delle Brigate Al Qassam, circondato da uomini armati appartenenti all'ala militare dell'organizzazione.

«Pericolo di fuga»

Lo stesso Hannoun sarebbe stato pronto a trasferirsi definitivamente in Turchia, per proseguire lì le sue attività di finanziamento. Per questo, secondo la gip Silvia Carpanini, che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, sussisteva nei suoi confronti un «concreto e attualissimo pericolo di fuga» e per questo l'operazione sarebbe stata anticipata. Inoltre tutti gli indagati avrebbero «ripetutamente ripulito», si legge nel provvedimento, i loro dispositivi elettronici ma gli investigatori hanno scavato a fondo nei server.

I movimenti

Secondo le indagini della Dda, da più di vent'anni i sette milioni di euro sarebbero arrivati ai terroristi attraverso operazioni di triangolazione con bonifici bancari, oppure tramite associazioni con sede all'estero, in favore di organizzazioni con sede a Gaza, nei territori palestinesi o in Israele, già dichiarate illegali dallo Stato di Israele. I fondi sarebbero serviti anche a supportare i familiari di persone coinvolte in attentati o per i parenti di detenuti.

Il perno e i complici

In Italia, per gli investigatori, il perno principale era proprio Hannoun, che aveva contatti costanti con i referenti di altre simili charity europee in Olanda, Austria, Francia e Inghilterra, le quali dietro agli scopi benefici a sostegno della popolazione palestinese nascondevano i finanziamenti ai terroristi. In carcere, oltre al presidente dell'associazione dei palestinesi in Italia, sono finiti gli altri otto membri della cellula. I presunti complici, arrestati a Firenze, Sassuolo, Milano e in altre province facevano da referenti per altre città mentre uno di loro, Khalil Abu Deiah, era responsabile dell' “Associazione benefica la cupola d'oro”, costituita a Milano poco dopo il attentati del 7 ottobre. Due degli indagati risultano invece latitanti e si trovano all'estero: uno in Turchia e uno a Gaza.

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