Le mosse.

Khamenei sceglie gli eredi e sparisce 

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Teheran. Costretto in un bunker e con la morsa che si stringe attorno a lui, l’ayatollah Ali Khamenei avrebbe nominato tre potenziali successori, tra i quali non figurerebbe il figlio Mojtaba, oltre a un lungo elenco di militari da promuovere in caso venissero uccisi altri comandanti. È quanto scrive il New York Times, citando fonti della sicurezza di Teheran in anonimato: secondo il quotidiano americano l’unico rischio che Khamenei non corre è quello della sollevazione interna, perché l'attacco di Israele «ha fatto serrare i ranghi e unito le varie frange della politica» iraniana.

Khamenei «è in un bunker, isolato da ogni tipo di mezzo di comunicazione tracciabile, passa le direttive a un consigliere fidato», scrive il Nyt confermando indiscrezioni emerse nei giorni scorsi. Come sottolinea Axios, la Guida suprema è di fatto «introvabile», tanto che anche il presidente Masoud Pezeshkian e il ministro degli esteri Abbas Araghchi avrebbero cercato di contattarlo senza successo questa settimana per ottenere la sua approvazione ad un incontro con gli Usa a Istanbul, organizzato dal presidente turco Erdogan.

L’intelligence di Teheran è ossessionata dalla presenza di informatori del Mossad, collaboratori annidati ovunque nel Paese, che hanno spinto al blocco delle comunicazioni con l’estero e allo spegnimento di internet per poterli scovare. I vertici militari ammettono che è stata proprio questa rete, e un massiccio fallimento del sistema di sicurezza interno, a favorire l'eliminazione di decine di comandanti nelle prime ore dell'attacco israeliano. E la caccia alla spia è stata infiammata dalla minaccia di Donald Trump, che ha detto di «sapere esattamente dove si nasconde» il leader iraniano, ma che «per ora non verrà ucciso». Nelle ultime ore è stato addirittura lanciato un ultimatum: «Chi si consegna entro domenica non verrà messo a morte», è il sinistro messaggio ai presunti collaboratori del nemico.

In una deserta Teheran dove il traffico è praticamente ridotto a zero, i residenti riferiscono che i Pasdaran hanno piazzato check point in ogni punto di entrata o uscita. Nel Paese, sostiene il Nyt citando analisti e residenti, la guerra avrebbe fatto serrare i ranghi tra i segmenti della popolazione e sui social locali si registrerebbe un diluvio di crescente nazionalismo. Si cita ad esempio Saeid Ezzatollahi, bandiera della nazionale di calcio, che ha scritto: «Come una famiglia, non sempre siamo d’accordo, ma il suolo iraniano è la nostra linea rossa».

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