Naypyidaw. Per la prima volta dal colpo di stato militare di cinque anni fa, il Myanmar va al voto. Un’elezione alla quale credono in pochi, letta dall’Onu e da diversi Paesi come strumento dei golpisti per cercare una legittimazione democratica. Il voto, che per ragioni di sicurezza avverrà in più fasi fino al 25 gennaio, è sotto lo stretto controllo dei militari: praticamente tutti i partiti democratici sono stati sciolti, a partire dalla Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), la cui leader storica, la Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è dietro le sbarre dal golpe del primo febbraio 2021, che chiuse un decennio di esperimento democratico. Diverse regioni, specie quelle abitate da etnie non birmane, sono in guerra contro i militari e oltre un terzo del Paese, fortemente impoverito, è fuori dal controllo della giunta ed è teatro bellico. Si stima che non si potrà votare in almeno il 15% dei collegi elettorali, scrive l’Asia Times. Se si esclude il forte supporto della Cina e dei suoi alleati, dettato dal desiderio di stabilità ai confini, il Paese dal golpe è politicamente isolato. In ottobre il relatore speciale Onu sui Diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, aveva usato la parola «farsa», aggiungendo che «le elezioni non possono essere né libere, né giuste o credibili quando si svolgono in un contesto di violenza militare e repressione, con leader politici detenuti e libertà fondamentali calpestate».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi
