Nuraghi, santuari, templi a megaron, pozzi sacri e tombe dei giganti. È l’Isola in corsa per diventare patrimonio dell’umanità, trentadue siti su cui l’associazione “La Sardegna verso l’Unesco” ha costruito la scommessa, a partire dal 2020. «Era il sogno e oggi siamo progetto», dice il presidente Pierpaolo Vargiu dalla Manifattura di Cagliari, dove da martedì la candidatura sarda è diventata cuore e sostanza della Terza conferenza internazionale. Ieri, nella penultima giornata, è arrivato anche l’endorsement della governatrice Alessandra Todde, mentre Sardegna Nuragica, la partnership pubblica formata da Crenos, Crs4 e Centro regionale di programmazione, ha presentato il modello economico con cui l’Isola cerca l’investitura a Parigi.
Il percorso
L’attesa è tutta per la primavera del 2026, quando dal ministero della Cultura la Cniu, la Commissione italiana Unesco, deve dire se gli oltre 10mila monumenti sardi hanno i titoli per aspirare al bollino dell’Onu. Il verdetto sarà contenuto nel “Preliminary assessment”, la relazione definitiva sulla candidatura, un lavoro cominciato con i sopralluoghi dei tecnici ad aprile 2024. Todde non ha dubbi: «I rappresentanti Unesco, con i quali anche di recente la Regione ha interloquito, sono convinti ci sia la possibilità di riconoscere questi siti. L’Associazione sta compiendo un percorso di ricucitura della nostra storia, dal prenuragico al nuragico. Tutto questo deve essere raccontato non soltanto a chi viene da fuori ma anche ai sardi. Serve però che i monumenti siano accessibili, collegati, inseriti in un sistema di rete, con il coinvolgimento di Comuni e comunità locali. La sola realizzazione di un simile intento sarà il riconoscimento più grande». Di fatto un rafforzamento del pacchetto da 33,5 milioni assegnato per il quinquennio 2023-2027 dalla Giunta di Christian Solinas.
L’operatività
Il Comitato parigino del patrimonio mondiale, cui spetta decidere sul riconoscimento Unesco, metterà sotto la lente non solo il valore storico dei siti, ma anche la loro capacità di produrre ricchezza per i territori. Per questo l’associazione guidata da Vargiu, una creatura dei Riformatori sardi, ha costruito un’alleanza di progetto con le istituzioni. Nuraghi, santuari, templi a megaron, pozzi sacri e tombe dei giganti sono diventati modello del Centro studi Crenos. Il Centro di ricerca Crs4 ha costruito la parte virtuale, il Centro regionale di programmazione (Crp) il contesto normativo. Eccolo il patrimonio archeologico a misura «dei 222mila turisti che tra bassa (9,1%), media (8,4) e alta (5,2) si sono detti attratti», ha spiegato Davide Zara, responsabile del progetto Crenos coordinato da Raffaele Paci. Lo studio pilota ha coinvolto i siti di Majori (Tempio), Romanzesu (Bitti), Santu Antine (Torralba), Su Nuraxi (Barumini) e Santa Vittoria (Serri).
Gli obiettivi
Da lì si è partiti per costruire il business, rigorosamente sostenibile, facendo attenzione a «creare una nuova narrazione e a proporre un’offerta coerente», è stata la direttrice operativa. In partita anche le Università di Cagliari e Sassari nonché la Fondazione di Sardegna. Rappresentati pure il sistema delle autonomie locali, con Anci e Cal, e le due Soprintendenze regionali (sud e nord). Il sogno oltre l’Unesco l’ha illustrato Vargiu: «Faremo rete con tutti i 377 Comuni della Sardegna, il nuragico è ovunque. Noi, come associazione, stiamo cercando di organizzare iniziative anche nel maggior numero di scuole, la nostra vuole essere una presenza divulgativa che ha come messaggio l’archeologia pubblica. Significa accrescere la conoscenza e potenziare il racconto. Questo è un progetto anti-ciclico, né di destra né di sinistra».
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