Il focus

I leoni da tastiera? «Gente frustrata» 

Mazzette (Università di Sassari): la logica del capro espiatorio alla base dell’odio social 

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L’inqualificabile aggressione verbale nei confronti della presidente Alessandra Todde è solo l’ultimo esempio dell’onda d’odio che allaga i social. L’ultimo episodio riguardante una persona nota, perché le pietre vengono scagliate ogni secondo che passa anche contro chi non ha un ruolo pubblico e finisce per dover subire la tempesta senza possibilità di difendersi. Persone attaccate perché donna, gay o transessuale, straniero, ricco, povero, disabile. La piazza senza limiti e confini offerta dal web sta dando voce a chiunque si senta in diritto di scagliare insulti e minacce perlopiù al riparo dell’anonimato. Ma chi sono questi scagliatori di escrementi? C’è un filo rosso che li accomuna?

Il bersaglio preferito

«Alla base del comportamento dei cosiddetti odiatori», spiega Antonietta Mazzette, docente di sociologia urbana dell’Università di Sassari, «c’è la logica del capro espiatorio: di ciò che mi succede è sempre responsabile qualcun altro. Generalmente si tratta di persone frustrate. Persone che hanno problemi, insoddisfazioni, situazioni non risolte, ed è facile riversare sugli altri le proprie incompetenze e il peso delle avversità». Sui social ce n’è per tutti, ma sono le donne il bersaglio privilegiato. Un odio crescente, secondo l’indagine di Vox, l’osservatorio italiano sui diritti, che sottolinea: «Sul totale delle persone colpite da hate speech, le donne sono la metà».

La prevaricazione

«Niente di nuovo, sa?», avvisa Mazzette. «I social amplificano questa situazione, ma prima non era tanto diverso. Credo che non ci sia donna che, per strada o in qualunque altro luogo, non abbia subito una battuta sgradevole o un complimento fintamente galante. “Bisognerebbe accettare l’apprezzamento”, dicono alcuni. Ma non è un apprezzamento, è invece un’espressione di potere. È sempre un’espressione di potere quando si ha a che fare con maschi che prendono di mira le donne». Poi è facile, «arrivare sino agli estremi per chi considera la donna come un oggetto di cui “posso fare quel che voglio, anche ammazzarla” se non risponde ai miei diktat». Il pensiero rivelato o sottotraccia di una società patriarcale. C’è un altro dato molto interessante: il 20,81% dell’odio in rete contro le donne proviene da donne. «Si è passate dall’invidia verso l’altra, che prima si manifestava faccia a faccia, all’insulto amplificato sui social. Le donne vivono nel mondo sociale, culturale ed economico degli uomini, non sono marziane. In secondo luogo, le donne entrano anche in competizione tra loro, accade che si guardino come antagoniste. Non ci dobbiamo stupire».

Il peso delle parole

Il problema di fondo, avverte Luca Pisano, psicologo e psicoterapeuta a Cagliari, «è legato all’analfabetismo funzionale: il 35% degli italiani non è in grado di capire testi lunghi, oltre le due, tre righe, nè di valutare dati di tipo statistico. Uno su tre». Già, ma in pratica cosa significa? In che modo queste carenze finiscono per deflagrare? «Ogni parola è fatta di un significante e un significato. Se io parlo del quadro, e quindi del significante quadro, sono in grado di indicarlo senza confonderlo con la lampada proprio perché ogni significante si collega a un significato. Ora, però, succede che il significante non si lega più a un significato, bensì ad altri che sono determinati dall’ideologia o dalla subcultura». Se, per esempio, «in questa subcultura c’è la misoginia, e nella nostra società c’è una forte dimensione di sessismo e di misoginia», qualunque fatto che riguardi una donna, «può far scattare l’odio». L’odio che, «riguarda le donne, ma anche gli uomini, lo straniero, il disabile eccetera».

I comportamenti tossici

Una recente ricerca Eurispes (“Educazione alla parità e al rispetto”) fatta nelle scuole sarde, rivela in quale bagno di violenza verbale e comportamenti tossici crescono i nostri ragazzi. L’hanno portata avanti Luca Pisano, Marisa Muzzetto e Gerolamo Balata su un campione di ragazzi e ragazze dai 12 ai 19 anni. Ebbene, una quota che va dal 10 al 30% (dai 10mila ai 30mila studenti) ritiene normali la violenza fisica, il revenge porn, il controllo nelle relazioni. «E ben il 60% degli studenti», puntualizza Pisano, «minimizzano o ignorano le implicazioni del linguaggio violento. Soprattutto il suo impatto sulla vita delle persone».

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