Camera

Giustizia, sì alla riforma e scoppia la bagarre Referendum all’orizzonte 

I ministri esultano dopo il voto e l’opposizione si lancia allo scontro 

Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp

La Camera approva in terza lettura la separazione delle carriere con 243 sì e 109 no. La maggioranza assoluta è sufficiente a passare la palla al Senato per l’ultima deliberazione, ma non a bloccare il referendum, per cui sarebbero serviti i due terzi dei deputati a favore (almeno 267). Nell’emiciclo di Montecitorio, strapieno, la tensione è palpabile: dopo il voto la maggioranza applaude fragorosamente mentre l’opposizione, che pretende che il governo riferisca in Aula su Gaza, contesta ai ministri presenti un’eccessiva esultanza. Quando diversi deputati della minoranza si avvicinano ai banchi dell’esecutivo per protestare, scoppia la bagarre: feroci scambi di accuse e contatti fisici con qualche esponente del centrodestra, che sfiorano la rissa.

La moviola

Dopo il voto sulla separazione delle carriere e una breve sospensione, il focus si sposta definitivamente su Gaza, con i deputati di centrosinistra che tornano a circondare i banchi del governo reclamando risposte sul «genocidio». Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani riferisce di minacce ai rappresentanti del governo durante la bagarre. Il pentastellato Leonardo Donno punta il dito contro il capogruppo di Fi Paolo Barelli: «Lui sì che mi ha minacciato». «Provocatori seriali», replicano gli azzurri. Le immagini saranno visionate dall’ufficio di presidenza per capire con precisione come siano andate le cose.

Salvini: «Per Tortora»

Polemiche a parte, il governo considera storica la giornata del nuovo sì alla riforma: «Continueremo a lavorare per dare agli italiani un sistema giudiziario sempre più efficiente e trasparente», dice la premier Giorgia Meloni. «Si compie un percorso cominciato trent’anni fa, con le battaglie garantiste del presidente Berlusconi», scandisce Tajani. Salvini dedica il traguardo a Enzo Tortora mentre il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ironizza: «Per la cronaca di chi ritiene che sia dedito all’alcolismo, vado a festeggiare questa bellissima giornata con uno spritz».

Niente quorum

E il centrodestra si prepara al referendum, che potrà essere chiesto da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali e si profila in primavera. Sarebbe una consultazione confermativa, che a differenza di quelle abrogative non richiederebbe il quorum del 50% degli iscritti alle liste elettorali. Le opposizioni stanno già raccogliendo le firme dei propri parlamentari ma non è escluso che lo faccia anche la maggioranza, per dimostrare di non temere il verdetto dei cittadini. Tajani ha detto che Fi è «pronta a varare i comitati per il sì». Quello che si profila è il quinto referendum sulle riforme costituzionali. Il 7 ottobre 2001 le urne approvarono la riforma del Titolo V promossa dal centrosinistra, che nel frattempo aveva perso le elezioni. Votò solo il 34,05% degli elettori, ma i sì furono il 65,21%. Nel giugno 2006, a parti inverse, sulla devolution varata a fine legislatura dal centrodestra partecipò il 52,46% dei cittadini, e prevalse il no con il 61,29%. Costò il governo a Matteo Renzi il referendum del 4 dicembre 2016 sulla sua riforma che superava il bicameralismo: 65,47% i votanti, 59,12% i no. Il 20 settembre 2020, sul taglio dei parlamentari approvato con voto bipartisan, le urne confermarono la riforma con il 69,96% di sì.

RIPRODUZIONE RISERVATA

Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati

Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.

Accedi agli articoli premium

Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi

Sei già abbonato?
Sottoscrivi
Sottoscrivi

COMMENTI